Non sorprende che nella pregevole collezione di lastre frutto dell'attività fotografica all'incirca ventennale di Olindo Guerrini il soggetto più frequente sia la famiglia. Come ogni storia della fotografia conferma, i generi fotografici del ritratto individuale o del nucleo familiare ristretto ma anche del gruppo allargato verticalmente a più generazioni oppure articolato orizzontalmente nei rami laterali ad accogliere fratelli, cognati e cugini disegnano le linee principali del successo “di massa” borghese, ma ben presto anche universalmente popolare, della nuova forma rappresentativa.
Ma la costante adesione di Guerrini alle varie transizioni antropologiche della modernità in accelerazione, proprie del suo tempo, non è mai banale. Passando in rassegna la qualità degli strumenti di cui si era dotato, la ricca documentazione bibliografica acquisita dalle riviste specializzate cui era abbonato, ma soprattutto il livello tecnico e artistico dei risultati concreti raggiunti nelle immagini realizzate nelle lastre e nei positivi, non si può cadere nell'equivoco di un Olindo dilettante, anche se depistati dalla pagina stecchettiana, ironica e quindi ambigua, firmata da Guerrini sul periodico napoletano «La Tavola Rotonda» nel gennaio 1893 con il titolo Difesa dei dilettanti di fotografia.[1]
Nessuno che abbia conquistato un'adeguata confidenza con la complessa e labirintica biografia intellettuale del direttore tra due secoli della Biblioteca Universitaria di Bologna può immaginare che questo onnivoro lettore, inserito per di più nella prestigiosa e ampia rete giornalistica e di riviste di cultura attente alle “mode” anche internazionali, potesse ignorare per esempio la questione della fotografia dibattuta negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo XIX da Baudelaire, ritratto poi da Nadar in cinque pose fra 1854 e 1862; oppure l'opinione di Zola, esplicitata nel 1901 dopo esser stato per quindici anni fotografo dilettante, che dichiarava «non si può sostenere di aver veramente visto qualcosa finché non lo si è fotografato».
Fra l'altro, il dibattito letterario sul realismo in poesia e più in generale in letteratura, che lo aveva visto fra i protagonisti al séguito del successo “scandaloso” dei Postuma firmati come Lorenzo Stecchetti, lo metteva nelle migliori condizioni teoriche per percepire l'affinità fra il fotografo e il poeta, giacché l'uno e l'altro vedono «dentro la vita delle cose» secondo una nota affermazione di Sigfried Kracauer. D'altra parte non poteva sfuggire al suo sguardo da interprete il paradosso della fotografia: immagine rappresentativa e insieme oggetto concreto nelle nostre mani e sotto i nostri occhi. Come a dire che la foto che apparentemente registra il tempo in realtà lo ferma e di fatto lo distrugge come flusso e ne estrapola l'istante bloccato.
Del resto, è probabile anche che lungo gli anni Ottanta arrivasse a Guerrini notizia della “moda” del ritratto fotografico da farsi fare in casa propria lanciata da John Thomson, il fotografo scozzese autore di Street Incident (1881), ossia della prima raccolta di foto londinesi “di strada”. Così, le case di Olindo, in particolare la residenza estiva chiamata La Vigna nei pressi di Gaibola, ma anche l'appartamento interno alla Biblioteca Universitaria spettante al direttore in cui la famiglia visse per trent'anni circa fino a qualche tempo dopo la morte di Guerrini, furono ben presto le case della famiglia da fotografare e insieme l'abitazione del fotografo,[2] che in quanto tale nella ritrattistica familiare si comporta da professionista, non indulgendo alla disinvoltura dell'istantanea e elaborando invece sapienti tecniche di posa oppure impegnandosi fra i primi alla ripresa di esterni con figure in movimento. Cosicché le case medesime si fanno palcoscenici e scenografie che in alcune circostanze prevedono un travestimento e dunque l'interpretazione di un ruolo da parte dei familiari divenuti attori.
Scorriamo allora il quadro concettuale e di gusto che ci porgono i ritratti della famiglia Guerrini, utilizzandoli anche come schede informative dei componenti di un albero genealogico per certi versi emblematico delle reti parentali dell'epoca e del valore istituzionale e etico che il sistema famiglia conservava (e forse conserva ancora) nell'antropologia romagnola.
Non c'è dubbio che il centro affettuosamente solido del mondo casalingo di Olindo - nell'astratto presente continuo della collezione di lastre dove tuttavia il tempo spodestato si rifà vivo a rappresentare una scansione cronologica allegata dall'età del viso e dell'abbigliamento o dal passaggio dei figli dall'infanzia alla giovinezza - sia la signora Guerrini: Maria Nigrisoli (Fig. 1; Fig. 2; Fig. 3), figlia di quella che a metà Ottocento si poteva definire una “casata” di proprietari terrieri fra Ferrara e la Romagna, illustre però per aver dato i natali a molti membri della professione medica, in passato, ma anche in tempi coevi a Olindo con lo zio Domenico, amato medico condotto di Sant'Alberto, e verso il Novecento con il più noto dei cugini, Bartolo, eccellente chirurgo e testimone di un antifascismo indomito fino al rifiuto del giuramento al regime nella sua qualità di docente universitario.
Fig. 1, BUB sc. 25, 1 Fig. 2, BUB sc. 18, 20 Fig. 3, BUB sc. 5, 11
Fra i Nigrisoli e i Guerrini si era verificato un simpatico caso di chiasmo matrimoniale: Domenico aveva sposato Luisa sorella di Olindo, il quale a sua volta sposava Maria nipote di Domenico e figlia di Gaetano, che di Domenico era zio paterno. Ma si può rapidamente constatare che il concetto di famiglia allargata soprattutto in senso orizzontale riguarda assai più i Nigrisoli che i Guerrini, giacché le tre sorelle di Maria, Elisa, Clelia e Imelde sono soggetti presenti nella collezione come lo sono in qualche caso i loro mariti (Giacomo Frontali sposo di Elisa) e i loro figli, vicini per età e frequentazione ai cugini Guerrini.
Della schiera dei cugini è personaggio di spicco nelle testimonianze fotografiche Paolo Poletti, figlio di Imelde e Francesco Poletti, in séguito affermato avvocato ravennate e nipote prediletto di Olindo nonché destinatario di un ricco carteggio con lo zio, prezioso per le tracce autografe dei Sonetti romagnoli (lettere e testi poetici dialettali alla morte del Poletti nel 1954 furono trasferiti in lascito alla Biblioteca Oriani).[3] Paolo, detto in famiglia Pino, è frequente coprotagonista con Guido di momenti fotografici con messe in scena di caccia nei prati e fra i cespugli della Vigna oppure fa la sua comparsa in gruppi di giovani amici durante le villeggiature dei Guerrini a Bellaria o a Cesenatico.
Ritornando tuttavia a un rilevamento quantitativo, le immagini familiari rinvenute nelle lastre (che sono sicuramente frutto dell'esercizio fotografico di Olindo mentre lo stesso non si può affermare per i positivi più datati) indicano nella famiglia ristretta a moglie e figli i soggetti privilegiati di un'evidente ricerca più artistica che memoriale. In questo senso abbiamo utilizzato l'aggettivo “fotogenico” nel titolo di queste pagine, ma si tratta anche qui di non lasciarsi indurre a un'etimologia banale: la fotogenia che ci interessa e che riscontriamo nei ritratti singoli o di gruppo di Maria, Guido e Lina è definibile con le parole che ci suggerisce Graham Clarke: «capacità di un oggetto riprodotto in un'immagine di creare un effetto estetico superiore rispetto a quello che produce naturalmente» (Fig. 4; Fig. 5).[4]
Fig. 4, BUB sc. 23, 7 Fig. 5, BUB sc. 23, 6
Sembra di poter dire che di fronte a questi volti e gesti intensamente appartenenti al mondo degli affetti intimi si sviluppa un'energia coinvolgente che stringe in un nodo speciale fotografo, modelli e fruitore, ossia noi, osservatori pur tanto lontani. L'ipotesi di lettura può sembrare azzardata, ma a confermarla ci sono i modi con cui si manifestano nella collezione delle lastre tre temi di per sé autonomi, ma che invece nell'esperienza di vita dei Guerrini ribadiscono l'intreccio col sistema famiglia: si tratta di una serie di viaggi non solo in alcune città d'arte italiane ma anche nel lontano ed esotico Egitto, della villeggiatura estiva nella riviera romagnola e infine, ultimo nell'elenco ma sicuramente di primaria importanza sul piano della teatralità umoristica, il gusto della maschera e del travestimento che trova nello strumento fotografico un eccezionale alleato.
Nei viaggi, l'interesse che domina è ovviamente ambientale e sociale e anche la tecnica di ripresa si adegua a ritagli architettonici, alla vasta prospettiva del gran ponte sul Nilo, allo scorcio lontano delle piramidi, ma si ha la sensazione di poter affermare che il fotografo non è solo.Tanto più nel reportage fotografico da Venezia o da Roma il gruppo familiare è spesso presente a misurarsi nel suo piccolo con la facciata di San Pietro o a fare della scontata immagine con i piccioni di Piazza San Marco un garbato divertimento di signore.
Nel secondo caso si trovano anche segnali di un gusto fotografico per così dire democratico, spostato verso il mondo fuori della cerchia consueta, nella scelta di soggetti non abituati al rito sociale borghese dell'estate al mare, come i gruppetti di giovanissimi in spiaggia che l'abbigliamento e l'aria spaesata dichiarano contadini. Ma ancora una volta il protagonista più frequente degli scatti di Bellaria, solo o in gruppo con parenti e amici, è Guido; meno numerose per quanto tecnicamente significative le apparizioni di Lina e della madre cui si aggiunge l'ironica intrusione del fotografo Olindo trasformato in bagnante dal lungo accappatoio bianco ripreso o con un autoscatto oppure da un compiacente sostituto familiare. E così cominciamo a intuire una circostanza che solo il terzo degli aspetti su cui stiamo ragionando farà emergere in piena luce ai nostro occhi di interpreti curiosi come un segreto remoto fra fotografo e suoi soggetti familiari (Fig. 6; Fig. 7).
Fig. 6, BUB sc. 85, 9 Fig. 7, BUB sc. 5, 15
La piacevole foto di Guido impegnato a recitare in abiti femminili (un positivo la cui visione dobbiamo alla cortesia delle Eredi), i frequenti travestimenti dei due figli messi in posa in un evidente rito teatrale e con scambio dei sessi, i numerosi ruoli che Guerrini interpreta in una serie di immagini che vanno da Olindo poeta laureato e incoronato d'alloro (forse Torquato Tasso) a Olindo nelle spoglie di un santo, a Olindo in caduta dalla bicicletta con la testa nascosta da un muso d'asino (da accostare forse umoristicamente all'azzimata eleganza del direttore della Biblioteca Universitaria ritratto sullo sfondo solenne delle venerande scansie?): tutto questo parla di un'amorosa complicità (Fig. 8).
Non solo perché qualche componente del gruppo è pronto ad assumere il ruolo del fotografo per permettere al fotografo di farsi attore della scena ma soprattutto perché in una bellissima immagine (Fig. 9, scelta opportunamente per il manifesto della Mostra) che vede affiancati padre e figlio illuminati nel volto da un sorriso sornione, Olindo stringe con amore fra le mani una bella macchina fotografica (a quanto sembra una nuovissima portatile tuttora conservata alla Vigna), realizzando così una puntuale e artisticamente consapevole mise en abyme (il fotografo che riesce a farsi specchio di se stesso, fotografato mentre fotografa con accanto il figlio divertito complice).
Questa ci sembra la cifra della straordinaria “fotogenia”che rende singolare e irripetibile la ritrattistica familiare di Casa Guerrini.
Fig. 8, BUB sc. 22, 1 Fig. 9, BUB sc. 19, 17
22 marzo 2022
[1] Cfr. L. Vaccaro, Dilettantismo, scenografia e umorismo nell’arte fotografica di Olindo Guerrini. «Gavéu mai visto una fotografia che sbiavisse col tempo e che va via lassando apena un segno imbaosà?», in Il fondo fotografico “Olindo Guerrini” alla Biblioteca Universitaria di Bologna, a cura di G. Nerozzi, Bologna, BUP, 2022, pp. 17-54.
[2] Cfr. L. Quaquarelli, Prove fotografiche di autobiografia: una Città e due Case di Olindo Guerrini, in Il fondo fotografico...cit., pp. 55-70.
[3] Cfr. O. Guerrini, Sonetti romagnoli, edizione e commento di R. Cremante, traduzione di G. Bellosi, Ravenna, Longo, 2021.
[4] G. Clarke, La fotografia. Una storia culturale e visuale. Torino, Einaudi, 2009, p. 22.