Ricerca

Una nota sul metodo di ricerca di Piero Camporesi

di Alberto Natale

 

Se si dovesse definire la cifra distintiva dei percorsi di ricerca di Camporesi si sarebbe tentati di fissarla in una semplice congiunzione, tra, sottolineando la libertà di movimento che il termine consente nella lingua italiana, senza vincoli tra numero e posizione degli elementi congiunti (si pensi alle differenze tra between e among per l'Inglese o entre e parmi per il Francese). Si tratta quindi di una trasversalità che non necessariamente rappresenta un punto mediano tra diverse sfere del sapere, un percorso sul filo del rasoio che richiede maestria e umiltà, e che non può assolutamente essere intrapresa senza l'ausilio di un eclettismo sostenuto da conoscenze attinte da fonti certe e solide. Come dichiarava lui stesso, il suo metodo "non discende certo dall'idealismo crociano, ma dalla grande tradizione positivista, spesso trascurata, che ha avuto anche l'Italia: per fare dei nomi, D'Ancona, Novati, Ludovico Antonio Muratori. Non l'Italia delle parole insomma, ma quella dei fatti e dei documenti" (Pronto in tavola l'alfabeto della storia, intervista di Cesare Medail a Piero Camporesi, in "Corriere della Sera, 24 gennaio 1981).

Percorsi di ricerca che si muovono tra scienze del corpo e letteratura dunque, ma anche tra storia e cronaca, tra società e individuo, tra cultura materiale, religione, antropologia e mitografia, tra corpo e anima, tra arte e mestieri, tra cultura popolare e cultura d'élite. Anche se il tempo della sua indagine è focalizzato principalmente sull'arco storico tra medioevo ed età moderna, la prospettiva di lungo periodo gli permette di produrre una visione complessiva e globale della sfera intima dell'uomo europeo, quando non universale. Nella sua capacità di restituirci un trattato iconologico della vecchia società, attraverso le invarianze dei grandi temi della natura umana (l'alimentazione, la percezione del corpo, il laboratorio dei sensi), Camporesi riannoda i fili che permettono di scorgere una trama unitaria e di riconoscere la funzione maieutica svolta dal passato nei confronti del presente, secondo un processo non tanto di ricostruzione, quanto di svelamento.

Il suo interesse è sempre concentrato sulla materia, sia rappresentata nella vita del corpo - nella girandola della sua percezione, del suo governo e delle sue trasformazioni - sia delineata come sfondo nel quale le attività umane si svolgono, nel mondo della vita quotidiana di borgo, città e campagna, nella dialettica dei mestieri delle acque e della terra, nella geografia mentale di una sensibilità umana plasmata da una realtà dura e scabra, generatrice di ansie escatologiche, ombre, insicurezze, paure.

Nell'attraversare questo territorio smisurato e viscoso Camporesi non rifiuta nessuno strumento di indagine, afferente dai più diversi ambiti scientifici. Tuttavia rimane sempre viva in lui l'esigenza di far parlare i testimoni, le sue fonti, i colti e gli incolti, gli scienziati e i 'filosofi', i cronisti, i diaristi, gli artigiani della penna e gli accademici togati.

Memorabili sono certe pagine su grandi figure del passato, ritratti sulla scena del proprio ambiente contemporaneo: l'anziano Petrarca, ospite di un banchetto padano, ossessionato dai cibi della giovinezza; Galileo invaghito della misteriosa idraulica vegetale della vite - distillatrice di nettare solare - che si rivela scienziato più propenso ad arricchire la cantina che la biblioteca; il medico scomunicato Fioravanti, ciarlatano per la scienza ufficiale, ma grande bonificatore e antesignano della moderna medicina.

Accanto a queste figure incontriamo però anche lo stuolo sterminato degli umili: "erbaroli", cerusici, levatrici, mammane, "mercuriali", "mulierculae", villani, norcini, pastori, capimastri, barcaioli, fonditori, mercatanti, che producevano sapere, spesso più di quanto non facessero i sapienti; cantastorie, cantimbanchi, "ciurmadori", accattoni, eremiti, preti di campagna, pellegrini, vagabondi, banditi, viaggiatori, osti, "guidoni", che producevano una parte considerevole di quella 'cultura', fissavano stili e maniere della vita di piazza e di festa, riversavano il sentimento religioso fuori dei sagrati.

Una mescolanza di generi e di voci, "la piazza universale di tutte le professioni del mondo", l'immenso calderone della vecchia società dalla quale, dopotutto, ci sentiamo oggi indebitamente lontani, ma il cui svelamento ci permette di guardare con più acutezza e onestà intellettuale al nostro presente, di accorgerci delle continuità e di comprendere le trasformazioni.