Tadeusz Sierotowicz - Fenomenologia del metodo investigativo

L’abduzione e il metodo di Monsieur Poirot


…e come vi proponete di arrivare alla verità?
Vegliando metodicamente le prove e le testimonianze,
seguendo un processo logico. […]
E anche mediante uno studio delle possibilità psicologiche.

When I had heard all the evidence,
I leaned back and shut my eyes and began to think[1].

Hercule Poirot


Introduzione: Il Paradigma indiziario

            Negli anni Ottanta ha avuto luogo un’interessante discussione sul paradigma delle scienze storiche. La discussione è stata iniziata da un eccellente saggio di Carlo Ginzburg, noto storico italiano, che ha proposto il concetto del paradigma indiziario[2]. Ginzburg scriveva:

Per millenni l’uomo è stato cacciatore. Nel corso di inseguimenti innumerevoli ha imparato a ricostruire le forme e i movimenti di prede invisibili da orme nel fango, rami spezzati, pallottole di sterco, ciuffi di peli, piume impigliate, odori stagnanti. Ha imparato a fiutare, registrare, interpretare e classificare tracce infinitesimali come fili di bava. Ha imparato a compiere operazioni mentali complesse con rapidità fulminea, nel fitto di una boscaglia o in una radura piena d’insidie[3].

Questa è la genealogia del paradigma indiziario: un cacciatore che segue un animale, e sulla base delle tracce lasciate dalla preda indovina le sue dimensioni, il suo comportamento e le sue intenzioni. Trasferendo il discorso nell’ambito della gnoseologia si può dire che l’uomo emerge dalla profondità del tempo munito di un paradigma cognitivo, che gli permette di “risalire da dati sperimentali apparentemente trascurabili a una realtà complessa non sperimentabile direttamente”. I dati “vengono sempre disposti dall’osservatore in modo tale da dar luogo a una sequenza narrativa”, di modo che tutto si presenti “come una serie coerente di eventi”. Pertanto, sottolinea Ginzburg,

il cacciatore sarebbe stato il primo a «raccontare una storia» perché era il solo in grado di leggere, nelle tracce mute (se non impercettibili) lasciate dalla preda, una serie coerente di eventi. ‘Decifrare’ o ‘leggere’ le tracce degli animali sono metafore. Si è tentati però di prenderle alla lettera, come la condensazione verbale di un processo storico che portò, in un arco temporale forse lunghissimo, all’invenzione della scrittura[4].

Il paradigma indiziario, così delineato, originario del mondo della caccia, è stato applicato in Babilonia nell’ambito legislativo e poi in medicina. Secondo Carl Ginzburg è facile scorgere la presenza del paradigma indiziario in tanti campi del sapere che con una certa approssimazione possono essere identificati con le scienze idiografiche nel senso di W. Windelband, vale a dire con gli ambiti del sapere in cui l’oggetto dello studio è costituito da un singolo evento, una situazione irripetibile, documenti che sono gli unici, individuali e irripetibili[5]. Conclusioni formulate in queste aree di ricerca, proprio perché riferite ad un oggetto concreto, hanno un carattere inevitabilmente non universale, nel senso che difficilmente possono essere estese agli altri casi/oggetti. Così avviene in criminologia, archeologia, storia, letteratura, e forse anche in medicina.
Il paradigma indiziario è particolarmente diffuso tra gli autori di romanzi polizieschi, mentre sembra che i filosofi della scienza e gli studiosi di epistemologia vi prestino un’attenzione nella misura nettamente minore. In effetti, i personaggi ben noti come Sherlock Holmes, Dupin, Guglielmo di Baskerville, Fandorin, Aristotele[6] e Poirot uniscono nella loro prassi un'analisi approfondita delle tracce, le loro possibili interpretazioni e la ricerca di una esauriente spiegazione che sia in grado di unire in una narrazione coerente tutto l’insieme degli indizi trovati, senza dimenticare la necessità di fornire una prova della unicità della soluzione proposta. Questa circostanza è stata perfettamente descritta da Guglielmo di Baskerville - l'eroe del noto romanzo di U. Eco - che spiega ad Adso da Melk le caratteristiche principali del paradigma indiziario:

Adso – disse Guglielmo – risolvere un mistero non è la stessa cosa che dedurre da principi primi. E non equivale neppure a raccogliere tanti dati particolari per poi inferirne una legge generale. Significa piuttosto trovarsi di fronte a uno, o due, o tre dati particolari che apparentemente non hanno nulla in comune, e cercare di immaginare se possono essere tanti casi di una legge generale che non conosci ancora, e che forse non è mai stata enunciata. […] Di fronte ad alcuni fatti inspiegabili tu devi provare a immaginare molte leggi generali, di cui non vedi ancora la connessione coi fatti di cui ti occupi: e di colpo, nella connessione improvvisa di un risultato, un caso e una legge, ti si profila un ragionamento che ti pare più convincente degli altri. Provi ad applicarlo a tutti i casi simili, a usarlo per trarne previsioni, e scopri che avevi indovinato. Ma sino alla fine non saprai mai quali predicati introdurre nel tuo ragionamento e quali lasciar cadere[7].

È d’obbligo soffermarsi sulla questione del modo di ragionare attraverso il quale emerge, viene costruita e fondata una nuova teoria, una nuova visione degli eventi nei casi affrontati da Poirot e dei suoi illustri colleghi. Occorre sottolineare che non si tratta né d’induzione, né di deduzione, bensì d’abduzione.
Ch. Peirce soleva spiegare la cosa riferendosi al sacchetto di fagioli bianchi (approccio sillogistico):

 

                            DEDUZIONE:

Regola:            Tutti i fagioli di questo sacchetto sono bianchi.
Caso:               Questi fagioli vengono da questo sacchetto.
Risultato:         Questi fagioli sono bianchi.

                            INDUZIONE:

Caso:               Questi fagioli vengono da questo sacchetto.
Risultato:         Questi fagioli sono bianchi.
Regola:            Tutti i fagioli di questo sacchetto sono bianchi.

                            ABDUZIONE:

Regola:             Tutti i fagioli di questo sacchetto sono bianchi.
Risultato:          Questi fagioli sono bianchi.
Caso:                Questi fagioli vengono da questo sacchetto.

 

            Le forme di ragionamento dette deduzione e induzione si possono riassumere dicendo che nel primo caso si tratta del passaggio dalla regola generale al caso singolo, mentre l’induzione porta dal caso singolo (molti casi singoli) alla regola generale. Invece il moto di pensiero proprio all’abduzione, rappresentato in modo inferenziale, potrebbe forse essere espresso come segue:

viene osservato/notato il fatto T (traccia). Se però A fosse vero, allora T sarebbe del tutto ovvioa e (comprensibile). Esiste pertanto il motivo di affermare che A sia vero[8].

Due aspetti di questa formulazione vanno messi in rilievo. Naturalmente il fatto T potrebbe voler dire tanti indizi, tante tracce. E poi si apre la questione di come viene proposta la legge/teoria A. Se cioè si tratta di una legge già data, per così dire in modo automatico e palese, oppure occorre selezionarla da una enciclopedia del sapere già disponibile, oppure va semplicemente creata, indovinata, scoperta, portata alla luce?[9] Alcuni studiosi hanno sottolineato in questo contesto una certa similitudine tra il paradigma indiziario e i processi d’abduzione[10].
Umberto Eco (durante un dibattito pubblico) sostenne che il meccanismo di scoperta sia nel romanzo giallo, sia nella diagnostica medica, sia nella scoperta dell’isocronismo del pendolo, e in genere in ogni indagine scientifica, sia sempre lo stesso: quello abduttivo[11]. Non pochi studiosi concordano con quest’affermazione sostenendo che un “esempio paradigmatico del ragionamento abduttivo rappresenta il ragionamento di un detective” oppure, in altre parole, nella detective story si ha a che fare con “una cristallizzazione letteraria del procedere indiziario della ragione”[12]. Ma se le cose stanno così sorge in modo naturale una domanda: quale è la caratteristica essenziale del genere letterario al quale appartengono i romanzi di Agatha Christie?
Poirot stesso definiva il profilo letterario dei suoi casi facendo un riferimento ad un dramma shakespeariano, perché “sono in gioco tutte le passioni su cui Shakespeare articola le sue tragedie: la gelosia, l’odio, i gesti disperati e, per finire, il caso” (AD, p. 174). Non sembra dunque appropriata l’interpretazione di Alex R. Falzon che parla in questo contesto di un feuilleton, in quanto secondo questo critico nei gialli di Christie sarebbero presenti “tutti e tre i momenti narrativi ereditati dal feuilleton ottocentesco: lo stato di grazia, la caduta temporanea in disgrazia e i ritorno finale all’ordine originale”[13]. I primi due momenti forse possono essere intravisti nei gialli di Christie, ma il terzo momento molto spesso è assente oppure ha un tenore assai diverso. Ad esempio nel caso descritto in AE Poirot grazia, per così dire, le persone colpevoli non consegnandole alla giustizia. Come se si appellasse ad un altro ordine, non quello iniziale – forse a quello divino. Difficile anche descrivere come un ritorno all’ordine originale la conclusione del caso narrato dall’assassino stesso, un diarista osservatore ed osservato da Poirot. Al dr. Sheppard infatti Poirot suggerisce “una dose eccessiva di qualche sonnifero”, prima che “la verità verrà comunicata” alle autorità giudiziarie (AR, p. 228).
In qualche altro caso alla fine delle narrazione si intravede una storia d’amore nascente. Poirot consiglia allora di fidarsi “di questo treno che è la vita, poiché è le bon Dieu che lo guida” (TA, p. 211; il corsivo di Poirot). E non si può dimenticare che l’amore stesso entrerebbe nell’elenco delle passioni shakespeariane, portando a delle complicazioni molto lontane dall’ordine originale[14].
Come rispondere allora alla domanda sulla caratteristica essenziale dei gialli in genere, e di A. Christie in particolare? Proporrei la seguente ipotesi, ma per esplicitarla occorre ricordare la centralità della metafora nel linguaggio della filosofia. Nel dibattito dedicato al ruolo della metafora uno degli aspetti più discussi è il ruolo conoscitivo della metafora, o per dir meglio la funzione euristica della stessa. Paul Ricoeur parlando della metafora metteva in rilievo la sua capacità di innovazione semantica, e cioè della “produzione di un senso nuovo attraverso procedure di linguaggio”[15]. Anche per questo motivo la metafora fu detta “un poema in miniatura”, “una metafora viva”, “una metafora fondamentale” sulla quale si basa una determinata visione del mondo[16]. Monroe Beardsley, che ha coniato la descrizione della metafora come “un poema in miniatura” in modo assai incisivo constata: “esplicazione offerta dalla metafora è un modello di ogni esplicazione”[17].
La metafora dunque in un contesto di discorso/narrazione letteraria o filosofica che sia, ha delle capacità di “produrre” il senso. Nel caso dei romanzi gialli, non solo quelli di A. Christie, la soluzione del caso narrato fa emergere i punti salienti del procedere conoscitivo tipico dell’abduzione, e nel senso di U. Eco, del metodo scientifico. Visto in questo contesto il genere letterario di cui i romanzi di A. Christie rappresentano un esempio paradigmatico potrebbe essere considerato una metafora del metodo scientifico, un poema epistemologico in miniatura che racconta una componente fondamentale del metodo scientifico ovverosia del metodo abduttivo e/o del paradigma indiziario. In sintesi un giallo nell’arco di una breve narrazione permette di farsi un’idea, di rappresentare mentalmente il metodo abduttivo – come funziona, di quali meccanismi, procedure e modi di spiegazione e di validazione si serve, ecc. Di conseguenza la lettura dei gialli se condotta in questa prospettiva rappresenterebbe un esercizio privilegiato di filosofia della scienza applicata alla letteratura.
Considerando la circostanza che il metodo di Poirot, a differenza ad esempio del metodo di Sherlock Holmes, non è stato molto frequentato dagli studiosi, nel presente saggio verrà intrapreso un tentativo di descrivere il procedimento di Hercule Poirot alla luce di quanto sintetizzato sopra sull’abduzione e sul paradigma indiziario. In questo modo si vorrebbe descrivere in modo più dettagliato un certo tipo di procedimento abduttivo, e allo stesso tempo offrire un modello della scoperta di una teoria nuova. Proprio a questo aspetto dei casi di Poirot si potrebbe ispirare – una pista ancora da esplorare – una didattica che sviluppa un pensiero critico[18].
La descrizione del metodo di Poirot offerta nel presente saggio può essere chiamata “narrativa”, nel senso in cui si parla degli aspetti narrativi nella filosofia della scienza[19]. Condivido infatti con Larry Laudan una profonda sfiducia nei confronti degli approcci che confidano negli strumenti e/o nelle formule logiche/matematiche capaci di decidere il carattere scientifico di una determinata teoria oppure “calcolare” in modo univoco whodunnit, se si vuole restare nell’ambito dei gialli di Agatha Christie[20].
Il presente saggio vorrebbe delineare, descrivere, narrare il modo in cui Poirot risolveva le intricate situazioni che gli venivano presentate o nelle quali si trovava, spesso suo malgrado, coinvolto. Vorrei tentare una descrizione del corso dei pensieri, delle impressioni, dei sentimenti, dei momenti di creatività, e delle motivazioni consapevolmente date da Poirot mentre lavora su un caso e lo risolve. Pertanto non una psicologia di un investigatore, bensì una ricerca delle categorie essenziali, ovverosia delle forme strutturali del pensiero di un investigatore di fama europea, quale fu Hercule Poirot. Proprio in tal senso, e solo in tal senso, nel titolo appare un richiamo alla fenomenologia. Come punto di partenza scelgo il caso descritto nel magistrale Assassinio sull’Orient Express (AE)[21].

 

L’Orient Express

Dopo la brillante soluzione di un caso in Siria, Poirot sta tornando a Londra. Viaggia con l’Orient Express da Istanbul a Calais. Durante il viaggio, tra Vincovci e Slavonski Brod, il treno viene fermato dai cumuli di neve e al mattino, in un scompartimento chiuso dall’interno si scopre un cadavere con dodici pugnalate. H. Poirot accetta la sfida. Prima raccoglie i fatti e interroga i passeggeri della carrozza sulla quale viaggiava l’uomo assassinato. Scopre così che l’assassinio potrebbe avere qualcosa a che fare con un tragico evento verificatosi molti anni prima - il rapimento e l'omicidio della piccola Daisy Armstrong. Non tutti gli indizi hanno però una chiara ed univoca interpretazione. Ad esempio una macchia di grasso sul passaporto diplomatico ungherese da un lato può essere vista come un segno di disattenzione dei doganieri, dall’altro invece come un tentativo di nascondere l’iniziale della prima lettera del nome della moglie del diplomatico.
Poirot raccoglie tutti gli indizi nel suo taccuino e prende in considerazione tutte, o per lo meno tante, possibili interpretazioni[22] (dopo tutto, non esistono fatti “nudi” e non interpretati come sottolineava N. Hanson[23]). Dopo di che Poirot si siede e comincia a pensare[24]. Giunge a due possibili narrazioni, che uniscono coerentemente nei diversi quadri le tracce raccolte. Da una parte una vendetta, una faida di stampo mafioso tra bande: un regolamento di conti effettuato attraverso l’uso del pugnale da parte di un sicario. D’altra parte Poirot racconta la storia di una vendetta abilmente costruita da parte di persone in un modo o nell’altro coinvolte nella tragedia della piccola Daisy Armstrong. Viene assassinato, o per dir meglio giustiziato, il rapitore e l’assassino della bambina.
Queste narrazioni rispondono alla stessa domanda (chi e perché ha ucciso Ratchett-Cassetti nel vagone-letto per Calais), e anche se l’insieme delle tracce che esse spiegano è lo stesso, l’interpretazione dei singoli indizi non è affatto identica in tutte e due le narrazioni. Ad esempio il fatto che il corpo di Ratchett porti i segni di dodici stilettate nella prima narrazione è una circostanza secondaria, mentre nella seconda acquista il significato centrale. Un attento lettore di questo libro di A. Christie avrà una possibilità impagabile di seguire il metodo di Hercule Poirot attraverso le diverse tappe della ricerca/raccolta degli indizi, della costruzione di una coerente narrazione che descrive l’accaduto[25], e anche della verifica/validazione della narrazione stessa[26].
Normalmente verso la fine del libro, nell’apposita “conferenza” Poirot racconta la sua visione dell’accaduto[27]. La narrazione, che assume una forma della “serie di deduzioni psicologiche più brillanti” (DO, p. 80), è sempre attenta sia ai dettagli, sia alle motivazioni psicologiche che hanno spinto ad agire chi compì il delitto. Anzi, si potrebbe forse dire che il profilo psicologico di un eventuale colpevole funge da criterio di selezione tra le diverse possibilità: “ho voluto solo mostrare tutte le possibilità - dice Poirot in uno dei romanzi – Queste sono le cose che avrebbero potuto accadere. Quella che è accaduta in realtà potremo solo scoprirla passando dalle apparenze esteriori all’intima realtà… Dobbiamo insomma tornare al carattere e alla personalità di…” (NP, 169; i corsivi di Poirot). A volte tale conferenza diventa una rappresentazione teatrale vera e propria (cfr. EH, cc. 19-21).
Il detective dunque propone una sorta di modello della realtà umana che in modo - si direbbe - isomorfo in quanto modello, cerca di rappresentare la realtà che è l’oggetto di modellizzazione. Giunge alla rappresentazione naturale, si direbbe, ovvia e semplice, che si contraddistingue per la sua coerenza. Come ci arrivava il detective belga?

 

I fatti

Ecco, che viene sottoposto a Poirot un caso. Siccome “l’essenziale è racimolare degli elementi” (EM, p. 163), il detective belga inizia a compilare il suo taccuino. Egli segue meticolosamente l’idea di sentire e considerare tutto, come normale in casi del genere. È importante questo “tutto” – Poirot lo dice sempre - fatti, cosa pensa la gente, persino sensazioni dei luoghi[28].
In questo contesto sarebbe da sottolineare l’importanza della psicologia tante volte richiamata da Poirot[29]. Egli stesso per sintetizzare il suo metodo ha elencato i seguenti punti salienti: “metodo, ordine, […] le cellule grigie […] e la psicologia di un delitto” (AR, p. 78). Particolarmente significative da questo punto di vista sono le indagini descritte in DO, PS e RG, dove la psicologia di un criminale o, per dirla con Poirot “la struttura mentale” (DO, 139), e le motivazioni delle persone coinvolte considerate da un punto di vista di uno psicologo svolgono un ruolo senz’altro essenziale, ivi incluse motivazioni che agiscono al livello di subconscio (DE, p. 60). Senza troppa esagerazione si può attribuire a Poirot una spiccata capacità di immaginarsi nei panni degli altri, come ad esempio succede nella ricostruzione dell’assassinio di Eleanor Vansittart (MQ, p. 180)[30].
Come avviene tutto ciò? Poirot ricorre ad un paragone: “Les femmes – generalizzò Poirot – sono meravigliose. Inventano e miracolosamente azzeccano. Le donne colgono inconsciamente migliaia di piccoli dettagli, senza rendersene conto. Il loro inconscio poi mette insieme i pezzi e definiscono con l’intuizione il risultato. Io… ho studiato molto psicologia. So queste cose” (AR, p. 121). Da aggiungere che forse nell’unico racconto di un insuccesso, la sconfitta viene attribuita da Poirot all’analisi psicologica sbagliata delle persone coinvolte nel caso (cfr. SC, TT, p. 21 e EH, p. 140). In qualche caso una manipolazione psicologica diventa modo di agire dell’assassino. Così avviene in alcuni casi affrontati da Poirot (ad esempio SI e SU) il quale era tutt’altro che un acritico sostenitore della efficacia incondizionata dell’approccio psicologico. “La conoscenza dell’umana natura… come può essere pericolosa” (TT, p. 54), commentò una volta.
A parte il metodo di indagine di Poirot, occorre sottolineare la grande acutezza di alcuni ritratti psicologici presenti nei romanzi di Christie come ad esempio quello della famiglia Boynton proposto all’inizio dell’avventura descritta in DO (DO, pp. 12 e ss.) o la bellissima pagina dove Poirot abbozza un ritratto di Mary Gerrard (PD, p. 12o)
Occorre però chiarire una cosa. Secondo un’immagine oltremodo semplificata il detective belga risolveva i casi standosene seduto “in poltrona e mettendo in moto le cellule grigie”; infatti, come riporta il capitano Hastings, Poirot “manifestava un certo disprezzo per le prove tangibili, come le tracce dei passi o cenere delle sigarette e sosteneva che esse da sole non avrebbero mai consentito a un poliziotto di risolvere un problema” (AP, p. 16). Ciononostante Poirot non è da annoverare tra i cosiddetti armchair detective: soltanto una volta egli risolve un caso senza abbandonare la casa, accettando una scommessa con l’ispettore Japp[31]. E seppur Poirot stesso contribuiva a questa vulgata di armchair detective, quando arrivava al sodo della questione non dimenticava mai di precisare che “per risolvere un problema è necessario avere i fatti” (SP, p. 183).
Infatti, all’occorrenza dalle tasche di Poirot spuntano una lente all’ingrandimento, una pinza, una scatoletta con della polvere sottile, un microscopio e molti altri attrezzi usati dai detective per esaminare tracce, indizi, impronte[32]. Un’altra volta il detective belga allestisce su un treno un improvvisato laboratorio per eseguire un esperimento fisico-chimico che gli permette di scoprire l’identità della vittima (AE, p. 54).
Coerentemente Poirot sosteneva che “non si deve mai credere in modo assoluto a quel che viene raccontato, sino a quando non si sono controllati i fatti del caso” (SP, p. 184)[33]. Ciò non vuol dire che nelle indagini occorre comportarsi come “un cane da caccia che continua a correr dietro all’odore della selvaggina” (SP, p. 181)[34]; non occorrono tanti “interrogatori né le corse alla ricerca di indizi” (SP, p. 101). Naturalmente, come si è detto, i fatti sono indispensabili, ma quelli cercati con cura. Poirot, rare volte a dire il vero, per trovare i fatti rilevanti ricorro addirittura a metodi non del tutto legali, rubando oppure violando la proprietà privata o il segreto della corrispondenza (DE, p. 155, SC, pp. 134-135 e EH, pp. 50 e 121-126, DV). Ad ogni modo si tratta sempre di fatti raccolti “a modo di un retriever”, un cane da riporto che raccoglie i fatti evitando “tutti quei chiassosi indizi” che confondono le idee e non permettono di capire l’accaduto (SP, p. 194)[35]: i fatti, raccolti da una mente prosaica, come disse una volta di se stesso Poirot, cioè da una mente che vede “soltanto i fatti, senza orpelli drammatici, né luci della ribalta” (TT, p. 179).
Non si può naturalmente dimenticare che la confusione tra i fatti e gli indizi può essere stata creata appositamente per depistare le indagini. A titolo d’esempio basti menzionare qui un tentativo di sviare le indagini di Poirot per difendere una persona amata (PD, pp. 164 e 219) oppure il lasciar apposta un cappello rosso per incolpare un’altra persona (“un errore deliberato” - PA, p. 199).
Solo dopo aver raccolto i fatti occorre organizzarli, occorre metterli nel posto giusto, come un uccello che ordina fuscelli per costruire il suo nido (UD, p. 83). In poche parole: “Metodo! Ordinare i fatti! Idee!” (AP, p. 71). Ma le idee non seguono dai fatti, come sembrerebbe sostenere il poliziotto per antonomasia Giraud (AP, p. 78). È proprio qui che occorre una poltrona, occorre una meditazione, occorre una congettura che permette di giungere al “sapere con certezza”, e cioè alla sicurezza di come stanno le cose, secondo l’affermazione di Poirot stesso: “mi occorre una certezza assoluta! Non basta quello che io credo!” (UD, p. 93).
Dunque, dopo aver stabilito i fatti, raccolto tante tracce e deposizioni, viene il momento di vagliarli (EM, p. 163) e tentare una soluzione, lasciandosi guidare dalla coerenza, e anche dalla semplicità[36]. Non a caso l’opera Assassinio sull’Orient-Express si divide in tre parti: i fatti, le deposizioni e le meditazioni. Essenzialmente ciò che avviene nell’ultima parte di questa procedura, o protocollo di ricerca, si può sintetizzare dicendo con Poirot che occorre sistemare con ordine

i fatti, ognuno al proprio posto. Passeremo in esame i vari elementi, e scarteremo quelli che non c’entrano. Terremo da parte quelli importanti […]. Un fatto ne provoca l’altro, e via di seguito. Il secondo collima con il primo? A merveille! Bene. Si può procedere. E quest’altro particolare? Ah, guarda che strano! Manca un anello della catena. Passiamo in rassegna i fatti, e aggiungiamo quel piccolo particolare, l’anello mancante della catena (PC, pp. 35-36)[37].

 

Sulla coerenza

Seguendo le intuizioni di Poirot la coerenza sarebbe in primis una concatenazione dei fatti. Ciò vuol dire che ogni fatto, circostanza e traccia raccolti s’incastrano in modo tale che ogni elemento delucida, conferma e motiva l’altro[38]. È come costruire un castello di carte dove “è necessaria molta precisione: una carta sull’altra, esattamente al posto giusto, per bilanciarne il peso” (EH, pp. 166-167). Infatti, ribadisce Poirot nella Tragedia in tre atti, “ricostruire il crimine… è questo lo scopo di un detective. Per ricostruire un crimine si deve porre un fatto sopra l’altro, esattamente come si mette una carta sull’altra per costruire un castello di carte. E se i fatti non stanno insieme… se la carta non sta in equilibrio… be’, bisogna ricominciare a costruire daccapo il castello, se non si vuole vederlo cedere” (TT, p. 184).
Per converso un anello mancante, un elemento di un puzzle che manca e che non si riesce ad individuare porta naturalmente a delle conclusioni sbagliate, talvolta di gravi conseguenze. È ciò che avviene nell’intricata storia descritta in Pericolo senza nome, dove Poirot praticamente per tutto il libro cerca un elemento mancante seppur intuisce il pericolo che incombe (EH, p. 56). Il detective belga fa tutto il possibile, ordina i fatti, usa le cellule grigie, fa gli esperimenti anche per “stabilire le varie possibilità” (nell’ottica se una cosa poteva essere fatto in un certo modo - DE, p. 112), stila elenchi delle diverse ipotesi e delle domande che indicano anelli mancanti (EH, cc. 9, 12 e 18). Solo un’idea trovata in modo casuale, mentre rilegge una lettera della persona poi assassinata, gli permetterà di proporre una teoria che ordina i fatti in modo coerente (EH, pp. 181, 203-204).
In questa sorta di catena dei fatti si inseriscono, se l’ipotesi della soluzione è corretta, anche dei fatti in un certo senso casuali, apparentemente staccati dal crimine, come ad esempio di strani dialoghi tra Miss Debenham e il Colonello Arbuthnot sul Taurus Express all’inizio dell’Assassinio sull’Orient-Express (AE, pp. 10-11) o addirittura fatti in qualche modo anomali come l’improvvisa sonnolenza descritto in Poirot sul Nilo (PN, p. 218). Su questa concatenazione si basa la certezza di Poirot nel proporre la soluzione del mistero; non aveva pertanto torto dr Sheppard annotando: “cominciavo a capire i metodi di Poirot. Ogni minima cosa, anche se apparentemente di nessuna importanza, aveva il suo peso” (AR, p. 191; cfr. anche DE, p. 113). Infatti, ogni piccolo fatto, specie quello che non inquadra, dovrebbe essere preso in considerazione ed esaminato da vicino. Il fatto del genere potrebbe far cadere le teorie precedenti. Ma meno male, direbbe Poirot, perché “cento punti contraddittori vengono a confonderci e a inquietarci. Ve bene, è un’ottima cosa. L’ordine sorge dalla confusione” (AP, p. 71). E porta alla certezza.
La certezza a sua volta significa che “quando si è ottenuta una soluzione esatta, tutto va a posto automaticamente, e ci si rende conto che le cose non potevano andare in modo diverso” (SP, p. 182) e che “i fatti considerati con metodo e nel loro ordine non ammettono che una spiegazione!” (AP, p. 82). Certo, si tratta sempre di congetture che come si vedrà, necessitano delle prove, ma – come giustamente nota Poirot – con le risorse delle quali dispone la criminologia, non “sarà difficile ottenerle” (SP, p. 182).Di conseguenza “una volta che sapremo chi, sarà facile raccogliere le prove” (DE, p. 63).
In breve: Poirot sa che le cose devono essere come dice lui, perché “in nessun altro modo ogni singolo fatto trova il suo posto e la sua logica spiegazione” (NS, p. 144). Seppur “si può guardare in uno specchio stando da diversi punti, ma ciò che vi si riflette è la stessa realtà” (TA, p. 194). Le prospettive sono diverse, diverse sono le immagini che si possono scorgere, ma solo una narrazione può essere vera:

Poirot chiuse gli occhi. Gli pareva di fissare, con gli occhi della mente, un vero e proprio caleidoscopio, né più né meno. Brandelli di sciarpe, pezzi di zaino, libri di cucina, rossetti per le labbra, sali da bagno… nomi e figure, descritte in modo sommario, degli studenti più disparati. Nulla che prendesse forma, nulla che fosse logica. Gli pareva di vedersi roteare nella mente persone e avvenimenti assolutamente privi di in nesso logico. Eppure sapeva che chissà dove, tutti questi elementi dovevano rientrare in uno schema ben definito, sapeva che esisteva un filo conduttore. O. forse, non era da escludere che, di quegli schemi ce ne fossero parecchi. Come respingere la possibilità che, a ogni colpetto dato al caleidoscopio, ci si trovasse di fronte a uno schema differente? Di sicuro, uno di questi schemi doveva essere quello giusto (PA, pp. 19-20).

È dunque naturale aspettarsi che dall’insieme dei fatti risulti una soluzione sola, giacché coerenza vuol dire anche che non è possibile dedurre delle spiegazioni mutuamente contradittorie dagli stessi indizi[39]. Mutuamente contradittorie, e anche assurde come succede nel caso del ragionamento di Mr Bouc conclusosi con l’affermazione che “non è stato nessuno” a commettere l’assassinio. Conclusione che Poirot commenta ironicamente con il richiamo ad Euclide, per mettere in risalto l’evidente inadeguatezza materiale della conclusione logica di Mr Bouc (AE, p. 165)[40].

 

Cercare la coerenza

Come si è visto prima Poirot nota che a volte tra le tracce può mancare un nesso, un anello. Nasce una domanda: come notare, come accorgersi, della mancanza di un anello? Una volta, parlando con un suo collega, sovrintendente di Scotland Yard Spence Garroway, Hercule Poirot ebbe a dire:

esiste il movente, esiste motivo, esiste la mise-en-scène. Non manca proprio nulla […]. Eppure […] è facile avvertire le stonature, anche nei casi apparentemente semplici. Si sente che qualcosa non quadra. Come i critici cinematografici: vanno a vedere un film e capiscono fin dal principio se la storia non regge (EM, pp. 55-56).

Sembra che intervenga qui una sorta di criterio di verità che sarebbe quello di coerenza. La coerenza però potrebbe essere forse vista come un criterio che fa riferimento all’estetica, alla bellezza, alla semplicità, e in fin dei conti alla verità[41]. Ciò vale in modo particolare per la semplicità alla quale Poirot si riferisce come se fosse una qualità pressoché equivalente alla coerenza. Nel Ballo della Vittoria, dopo che Poirot ha scoperto un novo dettaglio indagando sul caso del doppio omicidio, Hastings lamenta la crescente complessità del caso:

Santo cielo! – esclamai – La situazione diventa sempre più complessa.
Al contrario – rispose placidamente Poirot. Diventa sempre più semplice.
Poirot!, dissi, un giorno o l’altro vi strangolo! La vostra abitudine di trovare tutto semplicissimo è insopportabile!
Ma quando vi do una spiegazione, mon ami, non è sempre di un’estrema semplicità? (BV, p. 18).

Come si vede, in questa citazione Poirot usando la parola semplicità non si riferisce alla quantità dei dettagli raccolti, bensì al fatto che i diversi indizi formano un quadro unitario e coerente costituendo così una narrazione dell’accaduto.
Seguendo il criterio di coerenza, di intuizione, di bellezza occorre ipotizzare ed accettare anche che il sistema di conoscenze (certezze) di cui attualmente si dispone non giustifica pienamente, ma neanche esclude. Il verificarsi di una situazione del genere potrebbe richiedere un’integrazione, una correzione, un ampliamento dell’ipotesi considerata, alla luce dei nuovi fatti e/o delle nuove interpretazioni degli stessi, ma sempre nel rispetto del criterio di coerenza e restando fedeli a ciò che, nonostante tutto, convince[42].
Infatti, qualcosa del genere è successo nella vicenda umana di Hercule Poirot, due volte almeno. Nel caso descritto in NS il detective belga, a partire da un modello psicologico di una delle vittime (la signora Leidner), riesce a risalire ad un colpevole, compiendo un viaggio nel tempo. Ma, come confessa Poirot, quantunque egli sia arrivato alla “corretta soluzione del mistero” non ha prove materiali. Sa “che è così, perché deve essere così, perché in nessun altro modo ogni singolo fatto trova il suo posto e la sua logica spiegazione” (NS, p. 144 – corsivo di Poirot). In questo caso, dopo la solita conferenza finale, riesce ad ottenere la confessione dell’assassino che attribuisce a Poirot le doti di un ottimo archeologo (NS, 165).
Questa fu la prima volta. La seconda successe alle fine della sua vita quando Poirot incontra una persona che riteneva essere un assassino – ma non riesce a dimostrarlo (cfr. SU). Si tratta di un delitto perfetto teorizzato da Poirot stesso nel caso raccontato in Pericolo senza nome: “Jago, nel dramma di Shakespeare [commette] il più astuto crimine […] che sia mai stato commesso. […] Ha convinto un altro a commetterlo in sua vece” (EH, p. 88). Il detective belga confessa in una lettera al suo amico Hastings: “ho capito di essermi imbattuto, alla fine della mia carriera, nel criminale perfetto: X aveva inventato una tecnica per cui non avrebbe mai potuto essere accusato d’omicidio”. Questa tecnica viene descritta con il ricorso ad una metafora presa dalla chimica – il modo di agire di X viene paragonato da Poirot a un fenomeno di catalisi, “ossia al verificarsi di una reazione chimica tra due sostanze solo in presenza di una terza, che non prende parte alla reazione e resta inalterata […]. Quando c’era di mezzo X, venivano commessi i delitti, ma X non vi prendeva parte” (SU, p. 179)[43]. Come si sa quello fu l’ultimo caso di Poirot – l’ironia non tanto della sorte, ma forse addirittura l’ironia/limite di ogni possibile investigazione: un delitto perfetto chiude la carriera del più grande detective mai esistito (EH, p. 25). E come non ricordare qui le parole di Poirot che la vita è piena di sorprese, e sempre sfida le nostre capacità di ricercare la coerenza (PD, p. 129)?

 

Un’idea

E dunque occorre cercare la coerenza, cercare di far emergere l’ordine. Infatti, l’ordine, una narrazione dei fatti che sia limpida e precisa, si cristallizza per così dire, attorno a un’idea. Si tratta in realtà di un’ipotesi sul “come” e sul “perché” dell’accaduto. L’idea, intesa come sopra, diventa certamente un cardine della spiegazione del caso, ma anche introduce l’ordine nell’insieme dei fatti, poiché soltanto allora emerge con chiarezza una divisione tra i fatti che sono più o meno importanti. In poche parole solo alla luce di un’ipotesi di soluzione viene introdotta una gerarchia dei fatti e delle testimonianze già raccolte. È importante sottolineare che un’idea, un’ipotesi nel senso sopra esposto ordina gli accadimenti, vale a dire introduce una sorta di struttura logica tra di essi. In tal senso è funzionale nei confronti dei fatti, in quanto i fatti non devono essere adattati alle ipotesi: “sono metodico, ordinato, ragiono con logica e non rigiro i fatti per adattarli alle mie ipotesi”, disse una volta Poirot di se stesso (UD, p. 113). Inoltre un’idea del genere suggerisce degli esperimenti probanti relativi al passato, al presente e anche al futuro nel senso di una previsione degli eventi. Infine un’idea risolutiva presuppone e allo stesso porta alla costruzione di un modello psicologico delle persone a vario titolo coinvolte nel caso.
Da un punto di vista sistematico il processo di “proporre una soluzione” ovvero “cercare un’idea” può essere descritto come una applicazione del paradigma indiziario e dello schema di ragionamento abduttivo. Uno degli imperativi – anzi, l’imperativo che guida la ricerca di un’idea del genere può essere sintetizzata nel detto cui prodest, vale a dire nella ricerca di un motivo (DC, p. 130)[44]. Siccome anche il delitto perfetto non è privo del “perché”, la ricerca di un motivo è presente praticamente in ogni caso di Poirot (cfr. ad esempio EH, cc. 9 e 11). Naturalmente il delitto perfetto è raro, se mai esiste. Pertanto, per aprire una breve parentesi, non deve stupire il fatto che Poirot spesso cerca un errore da parte di chi compie il reato: lo si vede in molti romanzi e racconti dove il detective belga cerca un colpevole. Ad esempio nel racconto La disavventura di un nobile italiano si legge:

Mon ami, rispose [Poirot], vi sfugge l’aspetto essenziale. Sto cercando qualcosa che non vedo.
E che cosa?
Un errore… anche un piccolo errore da parte dell’assassino (DN, p. 245).

Seppur formulare l’imperativo che guida la ricerca è possibile, è impossibile proporrne qualsiasi algoritmo. Non di rado è un’idea molto semplice, ma quasi sempre un’idea che arriva in modo casuale, ed è imprevedibile nel suo contenuto. Il che rinvia alle misteriose vie della creazione e dell’invenzione. A volte si tratta di una sorta di illuminazione, di un insight[45] che può arrivare d’un colpo, anche durante il sogno (DE, p. 155). Può capitare che l’idea venga giocando, ad esempio mentre si costruisce un castello di carte (TT, p. 38). In altre occasioni si tratta di un processo duraturo che permette infine di notare un “tenue barlume che, per esempio, si scorge in un treno quando si sta per uscire da una galleria” (PD, p. 167). Comunque vada la mente dev’essere aperta, attenta, pronta ad abbandonare i propri pregiudizi e a superare i propri limiti per cogliere quel granello che diventa un centro di cristallizzazione, un anello mancante. Nel Natale di Poirot, a proposito dei tre indizi legati al delitto a casa Lee, Poirot confessa: “la colluttazione, la porta chiusa a chiave, il pezzetto di gomma. Ma ci deve essere un sistema per guardare queste tre cose in modo che abbiano un senso. Allora svuoto la mia mente, dimentico le circostanze del delitto e prendo le cose per quel che sono in se stesse” (NP, p. 172; il corsivo di Poirot). In poche parole l’impossibile può talvolta essere possibile, e una terza possibilità fino ad allora esclusa diventa proprio la strada giusta (cfr. MC, p. 566).
In non pochi casi a Poirot capitò che un’idea che desse un senso alle cose fosse suggerita da un’osservazione casuale di un’altra persona, spesso del suo amico Hastings:

l’ho sempre avuto al mio fianco, in ogni caso importante. E mi ha aiutato… oh, sì, mi ha aiutato spesso Perché aveva una speciale abilità, quella cioè di inciampare nella verità inconsapevolmente. Alle volte diceva delle cose incredibilmente assurde, e be’, sono state proprio quelle assurdità a rivelarmi la verità” (AR, 203).

In qualche altro caso l’ispirazione viene quando non la si aspetta proprio, ad esempio mentre Poirot canta un salmo durante una funzione religiosa (UD, pp. 131-132). Naturalmente capita anche di sbagliare, imboccare la strada errata. Ma poi viene un'altra idea che rimette i fatti apposto. Assistiamo allora ad una sorta di cambiamento della visione del mondo come ad esempio avviene nel caso dell’assassinio sul Nilo, in cui Poirot all’inizio sosteneva che il delitto è stato commesso per decisione improvvisa e non era premeditato; ma poi però si accorse che “l’idea preconcetta era sbagliata” e che di conseguenza “l’intero aspetto del ‘caso’ veniva a essere mutato”, perché il delitto in questione era stato “accuratamente predisposto” (PN, p. 218). 
Così succede anche nell’Assassinio sull’Orient Express dove la chiave di una narrazione risolutiva viene offerta dalla frase del colonnello Arbuthnot “il quale diceva che il miglior processo è quello che si fa con la giuria” (AE, p. 208)[46]. Una giuria è composta da dodici persone a Ratchett erano inferti dodici colpi, sulla carrozza-letto Istanbul-Calais si trovavano dodici persone… E solo adesso, dice Poirot, “tutto si spiegava ordinatamente, limpidamente, precisamente. La cosa mi appariva come un perfetto mosaico in cui ogni pietruzza aveva il posto prestabilito; come un dramma in cui ogni attore aveva rappresentato la parte affidatagli”[47].
Hercule Poirot usava una sorta di cifra per richiamare la necessità di arrivare, di creare un’idea per risolvere i suoi casi. Si tratta delle famose “cellule grigie”. Esse, e cioè la mente umana, creano una nuova teoria che mette ordine nelle tracce, negli indizi, negli accadimenti. Per dirla con Philip Roth il lavoro delle cellule grigie è quello di “convertire in un fatto mentale”, ovvero in una teoria coerente, un insieme dei fatti talvolta discordanti che sono stati stabiliti come oggettivamente reali[48]. Sembra inoltre che esse, le cellule grigie, arrivino ad un’idea/teoria in modo privo di qualsiasi regolarità o metodo. Forse dunque non ha torto Michel Serres che sottotitolò il libro sul lavorio creativo della mente “Dal metodo non nasce niente”[49].
Che le cose stiano così, vale a dire che non esista una procedura descrivibile in un numero finito di passaggi logici ben definiti, e cioè che non esista un algoritmo a priori di creatività ovvero un passaggio battuto dai fatti all’idea risolutiva, lo dimostra anche il caso del dr Sheppard (AR). Infatti, il narratore che risulta essere l’assassino, confessa che la sua partecipazione-osservazione del procedere di Poirot si può dividere in due parti. Nella prima il dr Sheppard segue le indagini di Poirot in modo che “quel che ha visto [Poirot] l’ho visto anch’io” (AR, p. 127). Ma quando Poirot inizia ad elaborare i fatti usando le cellule grigie non riesce ad arrivare alle conclusioni vitali alle quali arrivava il detective belga. È questa una circostanza non trascurabile, che le indagini di Poirot sembra confermino, vale a dire che si può sapere molto di più rispetto a quello che si è in grado di motivare, sostenere, e/o dimostrare[50].

 

Uno sperimento

Un’idea per quanto coerente, bella, semplice, illuminante va sottoposta ad una procedura di validazione. Per questo nelle inchieste di Poirot ci si imbatte spesso in uno “sperimento” probante, più o meno elaborato, proposto per verificare la fondatezza dell’ipotesi circa l’anello mancante e/o l’ipotesi nella sua interezza[51]. Così durante l’indagine sull’Orient Express egli non intravede un nesso chiaro tra uno dei passeggeri, il signor Hardman, e la casa Armstrong. Fa dunque cenno alle grazia delle ragazze francesi e belghe, e vede una lacrima negli occhi del signor Hardman – era innamorato della bambinaia francese, morta suicida a causa dei sospetti infondati circa il suo coinvolgimento nel rapimento della piccola Daisy (AE, pp. 143 e 212). Alla stessa categoria appartiene un escamotage inventato in Corpi al sole per scoprire se la signora Redfern era la bugiarda, ovvero se soffriva di vertigini o meno. Tale esperimento Poirot lo chiama nel romanzo prova finale (CS, p. 164). Lo stesso schema viene adoperato, questa volta con l’uso delle diciannove paia di calze, per scoprire se una persona sia una ladra o meno, nel caso descritto nel CT (CT, pp. 166-167).
In genere Poirot preparava numerosi esperimenti probanti del genere: alcuni non senza pericolo, come ad esempio succede nel caso descritto in AP, dove una persona per poco non venne uccisa (AP, p. 139) oppure con una sorta di provocazione nei confronti di una persona che perdendo il sangue freddo confessa (come avviene in CS, pp. 155 e 165) oppure agisce in modo che svela il suo coinvolgimento nel delitto (per un esempio particolarmente lampante cfr. CD).
Per considerare un esempio ancora più incisivo, ecco come Poirot conclude uno dei suoi casi facendo delle domande ben ponderate a un certo James Richards, accusato dal detective belga di aver commesso un assassinio in Delitto in cielo. Richards afferma:

- Un mucchio di maledettissime bugie...
- Oh, no. C’era un livido sul collo di Anne.
- Bugie diaboliche, vi dico.
- Avete persino lasciato le vostre impronte digitali sulla boccetta.
- Mentite. Portavo...
- Ah, portavate i guanti...? (DC, p. 202).

Non senza soddisfazione Poirot dichiara lo scacco matto.
In genere tale “sperimento” potrebbe riguardare non solo una ricerca dell’anello mancante, ma anche una sorta di falsificazione, in chiave quasi popperiana, della fondatezza della narrazione proposta: “quando una cosa si presenta così, uno capisce che dev’essere così e procede a cercare i motivi per cui poterebbe non esserlo. Se non ne trova, la sua conclusione viene rinsaldata” (PI, p. 171). In breve: gli esperimenti probanti che Poirot architetta ed esegue sono come delle domande rivolte alla realtà, perché i delitti bisogna prenderli “come si trovano e non come si vorrebbero” (AP, p. 138).
Per completare il quadro occorre aggiungere che nel complesso processo di “mettere alla prova” un ruolo importante va attribuito al contesto politico, storico, in cui si verifica il fatto[52]. Occorre anche menzionare degli esperimenti probanti che possono essere classificati come delle previsioni sullo svolgimento degli eventi che se confermate danno credito alle ipotesi avanzate e la ricerca delle informazioni molto precise e mirate che hanno alcune caratteristiche di experimentu crucis di baconiana memoria[53].
A volte sono le circostanze che permettono a Poirot di far ricorso ad un esperimento che favorisce una soluzione del caso, come ad esempio la capacità di fare i ritratti con due tratti di penna (MQ, pp. 147-148). Bisogna annoverare qui anche le ricostruzioni di un delitto a volte proposte da Poirot, per chiarire un qualche dettaglio (cfr. ad esempio AR, pp. 143-145) oppure un delitto nel suo complesso.
Un eccellente esempio dell’uso degli sperimenti da parte di Poirot, è rappresentato dalla la strategia adottata dall’investigatore belga nel caso del triplo avvelenamento ad opera di Sir Charles Cartwright, un celebre attore. Le tre morti rappresentano i tre atti del dramma. Poirot all’inizio non riesce ad individuare né la tecnica dell’avvelenamento, né il motivo del primo di essi. Infatti, nel primo atto muore il Reverendo Babbington e non c’è niente che possa spiegare l’eventuale assassinio di una persona così gentile, stimata ed amata da tutti. Neanche l’ipotesi di un suicidio sembra plausibile. Per di più nel suo calice non si trovano le tracce di alcun veleno. Infine Poirot riesce ad individuare un possibile meccanismo di avvelenamento che mette in scena nel corso di un esperimento chiamato da lui sherry party. Semplicemente un calice che conteneva un veleno (nell’esperimento si trattava d’acqua) viene sostituito da un altro calice identico contenente in questo caso soltanto squisito sherry. Lo scambio è reso possibile grazie ad un trucco di distrazione causato da un altro grave evento (un uomo cade a terra fingendosi morto). Dopo aver dimostrato l’effettiva possibilità di avvelenare una persona senza lasciare indizi, Poirot riesce a trovare un motivo per il primo assassinio, in quanto il vero assassinio risulta essere il secondo: semplicemente l’assassino voleva provare il meccanismo dell’avvelenamento. Il terzo atto, un assassinio con l’uso di cioccolatini avvelenati, era un premeditato diversivo per sviare le indagini di Poirot. In questo modo sono stati individuati il come e il perché dell’assassinio di Sir Bartolomew Strange (cfr. TT, p. 160 e ss.).
Per concludere la rassegna dei diversi “sperimenti” messi in atto da Poirot occorre menzionare un metodo particolarmente efficace: non far niente, semplicemente “lasciar che le persone […] raccontino” (DC, p. 138). E non si tratta di una qualche strategia di psicoanalisi, alla quale in Delitto in cielo Poirot dedica più di una frecciatina, bensì di una “necessità basilare della natura umana… la necessità di chiacchierare… di rivelare se stessi” (DC, p. 139) e di una impossibilità di mentire sempre (DO, p. 95, MQ, p. 147). Infatti, “se si riesce a indurre una persona a parlare a lungo su un argomento qualsiasi, prima o poi finirà per tradirsi” (DE, p. 181).
La tappe del modo di procedere di Hercule Poirot si possono riassumere nel diagramma di flusso, rappresentato sotto nella fig. 1. La procedura oppure il protocollo di ricerca in questione può essere ulteriormente sintetizzato come risulta dalla fig. 2.

 

Per concludere: Poirot – Investigatore e Uomo

            Quello di Poirot è uno stile di pensiero che si contraddistingue, per dirla con E. Agazzi, per la sua oggettività e per il suo rigore molto vicini a quello del paradigma indiziario. Ci sono tre parole chiave che caratterizzano le analisi di questo filosofo della scienza: oggettività, rigore e analogia[54]. In Agazzi il concetto stesso di scienza risulta né univoco, né equivoco, bensì analogico, ossia tale da rispettare, pur nella similitudine dei tratti fondamentali, la specificità e diversità dei vari ambiti oggettuali e stili di indagine che costituiscono per appunto il rigore di una determinata scienza. Per questo motivo il concetto di scienza inteso nel senso analogico può essere applicato nell’ambito di matematica, fisica, chimica, biologia, psicologia, economia, e – perché no – nell’ambito di un’indagine nel caso di un delitto svolta secondo il metodo di Poirot.
Naturalmente il metodo di Poirot ha dei limiti, riconosciuti anche da lui stesso, appare perfezionabile, suscettibile a puntualizzazioni e spostamenti d’accento. Un ottimo esempio lo fornisce la lettura di altre opere di A. Christie dedicate ad esempio alle vicende di Miss Marple[55]. Certo, anche Miss Marple osserva, raccoglie fatti, deposizioni, prove, predispone trappole, ecc.; anche lei, come Poirot, fa leva sulla psicologia dell’agire umano, ma nel caso di Miss Marple il modo di riferirsi alla psicologia riceve una sfumatura lievemente diversa, forse per certi versi complementare al modo in cui ci si riferisce Poirot.
Lo si può vedere in modo particolarmente chiaro nella narrazione di una sorta di resa dei conti che vede Miss Marple protagonista del libro intitolato Nemesis[56]. In questa storia lei deve scoprire praticamente tutto – il delitto, il colpevole, il movente. Ma Miss Marple risolve il caso, con successo naturalmente, cercando di capire i modi di fare, di reagire, di comportarsi delle persone appena conosciute in base ai modi di fare, di reagire, di comportarsi delle persone a lei note, ad esempio degli abitanti del suo paese St Mary Mead[57]. Basta riconoscere le somiglianze tra queste, e quelle, per intuire il modo di agire delle persone appena conosciute, come se la conoscenza della natura umana, Miss Marple lo avesse costruita in basse alla letteratura e il microcosmo di St Mary Mead[58].
Ancora qualche parola su Poirot, l’uomo-investigatore, e in modo particolare sulle spinte interne del suo agire. Il capitano Hastings avrebbe risposto a questa domanda dicendo che si trattava di assecondare “l’istinto investigativo” proprio al detective belga (DS, p. 174). Con questo istinto s’accorda perfettamente la particolare sensibilità di Poirot, fiuto si potrebbe forse dire, per la presenza del male. Come se, in un certo senso, la sua presenza attirasse i crimini: “Sono gli avvenimenti che vanno alle persone… non le persone agli avvenimenti – dice Sir Bartholomew in Tragedia in tre atti – […] ci sono uomini come Hercule Poirot che il crimine non devono cercarlo… è il crimine che va da loro” (TT, p. 20). Ciò naturalmente a causa delle esigenze narrative, ma sta di fatto che Poirot non riesce a passare una vacanza tranquilla senza imbattersi in qualche evento che richiede l’uso delle cellule grigie (pars pro toto cfr. CE).
Questa sensibilità si manifesta in due modi. Da una parte l’intuizione della presenza del male nei cuori umani, dall’altra una sorta di deviazione professionale che porta Poirot a vedere il male possibile anche là dove vi è un’ingannevole parvenza del male, perché stando alle sue parole ha “la mente impostata sul crimine” (TR, p. 691). Una circostanza questa che gli gioca qualche scherzo.
Per quanto riguarda il primo modo basti ricordare la sensazione che egli vive vedendo per la prima volta il signor Ratchett: “non riesco a liberarmi – dice - dell’impressione che mi sia passato vicino lo spirito del Male” (AE, p. 15). In quanto alla seconda modalità, a titolo d’esempio, si ricordi il caso descritto nel Pericolo senza nome dove alcuni eventi apparentemente casuali sono interpretati erroneamente da Poirot come un preannuncio di un assassinio imminente (poi si scopre freddamente messi in scena per ingannare e distrarre l’attenzione del più grande tra gli investigatori; EH, pp. 3-27 e 200). A dire il vero viene assassinata una persona (Maggie), ma non quella minacciata dagli incidenti (Nick). Infatti, chi uccide voleva creare nella mente di Poirot l’impressione di trovarsi in percolo per costruirsi un alibi. Poirot si è trovato almeno due volte in situazioni del genere quando la sua fama e sensibilità alla presenza del male viene manipolata dalle assassine (EH e SM). Sempre però il suo acume gli permette di scoprire il gioco e di non cadere nella trappola (EH, p. 197).
Il suo procedere investigativo, e in modo particolare nelle fasi conclusive dei casi affrontati, si contraddistingue per una pietà nei confronti della sorte di ogni essere umano (“l’umanità viene prima di tutto” – CD, p. 399), alla quale s’unisce il riconoscimento della responsabilità per i fatti compiuti, responsabilità radicata nella libertà dell’uomo (cfr. UD, pp. 180-181). Pertanto seppur trovare assassino, arrivare alla vera descrizione dell’accaduto erano per lui sempre centrali, egli sosteneva che “ci sono cose più importanti che non trovare l’assassino. […] A parer mio, la cosa importante è allontanare i sospetti dagli innocenti” (UD, p. 124; cfr. anche EH, p. 113). Questa, ad esempio, è la situazione di Frank Carter che era diventato un capro espiatorio nel caso descritto da Christie nel Poirot non sbaglia (UD, pp. 154-157). Non si tratta di osannare il principio della presunzione di non colpevolezza, ma neanche di accentuare l’imprevedibilità dell’uomo nel suo agire. Infatti, secondo l’investigatore belga le azioni umane raramente sono tali: “è rarissimo che una persona compia un’azione che non rientri dans son caractère. Diventa persino monotono alla fine” (TR, p. 682). Poirot si spinge addirittura ad identificare nella difesa dell’innocente una sua vocazione divina: “io sono convinto che le bon Dieu ha creato Hercule Poirot proprio perché si intrometta nei casi come questi. È il mio métier” (EH, p. 113). In poche parole – come Miss Marple, anche Poirot si considera l’emissario della giustizia[59].
Vi è infine un altro aspetto sempre presente nelle sue immagini – una ricerca della conferma di quello che lui pensava di se stesso, e cioè di essere “il cervello più formidabile d’Europa” (SC, p. 139). Anche per questo il più grande complimento che uno/a poteva aspettare da lui era quello che riservò a Vera Rossakoff: “Che donna […] una rapida occhiata e ha capito la situazione al volo”[60]. E anche per questo affrontava alcuni casi semplicemente perché semplicemente rappresentavano una sfida alla logica, alla sua mente (ad esempio MC, p. 539).
Forse per tutti questi motivi leggendo i libri di Agatha Christie[61] non si può negare al piccolo, a volte insopportabile Hercules Poirot, un’umanità, una capacità di comprendere l’altro e il senso di sicurezza che traspare dal suo agire.

Ciò scritto non resta che concludere la descrizione del metodo di Poirot, e uscire dal discorso con le sue parole: “ho prospettato la vera [descrizione del metodo …], ho l’onore di ritirarmi. Il mio compito è terminato” (AE, p. 215).

 

Fig. 1. Il metodo di Poirot – un protocollo d’indagine.[62]

Fig. 2. Il metodo di Poirot – un modello della scoperta.

 

Note:

[1] Cfr., rispettivamente, DO, p. 92 e MO, p. 211 (AE, p. 204). Con l’eccezione fatta per la fig. 1, le opere di A. CHRISTIE – serie Poirot - saranno citate con un’abbreviazione del titolo, seguita dal numero della pagina (tutti i titoli, anche nella versione e-book, se non viene segnalato diversamente sono stati pubblicati dalla Mondadori): AD – Alla deriva, 1996, AE - Assassinio sull’Orient-Express, 1998, AP - Aiuto, Poirot!, 1983, AR - L’assassinio di Roger Ackroyd, 1979, BV – “Il ballo della Vittoria”, in: PT, pp. 9-22, CA - Cat among the Pigeons. London, HarperCollins, 2014, CC – “La cattura di Cerbero”, in: FH, pp. 302-334, CD – “Il caso di dolce di Natale”, in: PT, pp. 363-412, CE – “Il cinghiale d’Erimanto”, in: FH, pp. 103-129, CP - I primi casi di Poirot, 2002, CS – Corpi al Sole, 1988, CT – Carte in tavola, 2014, DC – Delitto in cielo, 1986, DD – Due mesi dopo, 2003, DE – Dopo le esequie, e-book KOBO, 2015, DI – “Doppio indzio”, in CP, pp. 62-71, DN – “La disavventura di un nobile italiano”, in PT, pp. 241-253, DO – La domatrice, 1993, DS – “Peccato in doppia copia”, in:CP, pp. 174-189, DV – “La dama velata, in: PT, pp. 208-217, EH – Il pericolo senza nome, 2003, EM – Gli elefanti hanno buona memoria, 1987, FH – Le fatiche di Hercules, 1999, MC – “Il mistero della cassapanca spagnola”, in: PT, pp. 530-572, MO - Murder on the Orient Express, London, Harper & Collins Publishers, 2011, MQ – Macabro Quiz, 2016, NP – Il Natale di Poirot, 2001, NS - Non c’è più scampo, in: Testa d’uovo. Cinque avventure di Hercule Poirot, 1981, pp. 5-167, NV – “Nido di vespe”, in: CP, pp. 200-209, PA – Poirot si annoia, 2003, PC - Poirot a Styles Court, 2008, PD – La parola alla difesa, 2016, PI - Poirot e la strage degli innocenti, 1988, PN - Poirot sul Nilo, 1992, PS - Poirot a la salma, 2002, PT - Poirot. Tutti i racconti, e-book KOBO, 2012, RG - Il ritratto di Elsa Greer, 1993, SA – Sono un’assassina?, 1999, SC – “La scatola di ciocollatini”, in: CP, pp. 125-139, SD – “La sparizione del signor Davenheim”, in: CP, pp. 236-250, SI – La serie infernale, 1997, SM - Se morisse mio marito, 1995, SP - Sfida a Poirot, 1987, SU - Sipario. L’ultima avventura di Poirot, 1986, TA - Il mistero del treno azzurro, 1996, TR – “Triangolo a Rodi”, in PT, pp. 681-706, TT – Tragedia in tre atti, e-book KOBO, 2013, UD – Poirot non sbaglia, 2012.


[2] C. Ginzburg, Spie. Radici di un paradigma indiziario, in U. Eco, Th. A. Sebeok (a cura di), Il segno dei tre. Holmes, Dupin, Peirce, Milano, Bompiani, 20042, pp. 95-136 (altre edizioni: A. Gargani (a cura di), Crisi della ragione, Torino, Einaudi, 1979, pp. 57-106 e C. Ginzburg, Miti, emblemi, spie, Torino, Einaudi, 1992, pp. 158-209). Per quanto riguarda il paradigma indiziario cfr. ad esempio: G. Boniolo, P. Vidali, Filosofia della scienza, Milano, B. Mondadori, 1999, pp. 281-298 e E. Di Nuoscio, M. Gervasoni (a cura di), Conoscere per tracce, Miano, Unicopli, 2005.

[3] C. Ginzburg, op. cit., p. 106.

[4] Ibidem, pp. 106-107.

[5] Cfr. W. Windelband, Storia e scienza della natura. Lo storicismo tedesco, P. Rossi (a cura di), Torino, UTET, 1977, pp. 317-320.

[6] Cfr. ad esempio B. Akunin, La regina d’inverno, Milano, Frassinelli, 2000 e M. Doody, Aristotele detective, Palermo, Sellerio Editore, 1999.

[7] U. Eco, Il nome della rosa, Milano, Bompiani, 1980, pp. 307-308.

[8] Formulazione è di Ch. Peirce; qui con qualche mio adattamento (cfr. G. P. Caprettini, Le orme del pensiero, in U. Eco, Th. A. Sebeok, op. cit., p. 178). Occorre indicare una corrispondenza tra le due formulazioni: T corrisponde al risultato, A corrisponde alla regola (che qui viene ipotizzata), supponendo naturalmente che si verifica la situazione descritta nel caso. Come ebbe a dire Ernan McMullin, si tratta di un ragionamento che “fa” la scienza (E. McMullin, The Inference that Makes Science, Milwaukee, Marquette University Press, 1992) e che Sherlock Holmes descrisse come “il ragionamento curiosamente analitico da effetti a cause” (A. Conan Doyle, Il segno dei quattro, Milano, Oscar Mondadori, 2001, p. 6).

[9] Cfr. il saggio di M. Bonfantini, G. Proni, To Guess or not to Guess?, in U. Eco, Th. A. Sebeok, op. cit., pp. 139-155.

[10] N. Harrowitz, Il modello del detective: Charles S. Peirce e Edgar A. Poe, in U. Eco, Th. A. Sebeok, op. cit., pp. 217-234. L’abduzione così come fu descritta da Peirce ha dato luogo a diverse interpretazione portando a sviluppi molto significativi. Mancando qui uno spazio sufficiente per entrare nel dettaglio della questione, non resta che rinviare ai vari studi dedicati all’abduzione. Cfr. ad esempio: A. Aliseda, Logic in Scientific Discovery, “Foundation of Science”, 2004(9), pp. 339–363, E. McMullin, op. cit., S. Paavola, Peircean Abduction: Instinct, or Inference?, “Semiotica”, 153(2005), pp. 131–154, M. Urbański, Rozumowania abdukcyjne. Modele i procedury [Abductive Reasoning. Models and Procedures], Poznań, Adam Mickiewicz University Press, 2009, Philip Dobson et al., Eureka Moments In Research: Exploring Abductive Processes Using Four Case Examples, “23rd Australasian Conference on Information Systems”, 3-5 Dec 2012 e W. H. B. McAuliffe, How did Abduction Get Confused with Inference to the Best Explanation?, “Transactions of the Charles S. Peirce Society: A Quarterly Journal in American Philosophy”, 51(2015), pp. 300-319.

[11] Cfr. L. Canfora et al., Paradigma indiziario e conoscenza storica, “Quaderni di storia”, 6(1980), pp. 3-54: pp. 40-41.

[12] Rispettivamente S. Paavola, op. cit., p. 145 e V. Zanirato, Le astuzie del filosofo detective, “I Castelli di Yale”, VI(2003). pp. 129-143: p. 14o. A questo proposito cfr. anche J. K. Van Dover, You Know My Method: The Science of the Detective, Bowling Green (OH), Bowling Green State University Popular Press, 1994, pp. 1-28.

[13] A. R: Falzon, Introduzione, in: AD, pp. 5-11: p. 9.

[14] Cfr. ad esempio la conclusione di AD, pp. 189-191 oppure AR, pp. 178-179.

[15] P. Ricoeur, Riflessione fatta, Milano, Jaca Book, 1998, p. 58.

[16] Cfr., rispettivamente, M. C. Beardsley, Aesthetics, problems in the philosophy of criticism, Indianapolis, Hackett Pub. Company, 1981, p. 144, P. Ricoeur, Interpretation theory: discourse and the surplus of meaning, Fort Worth, Texas University Press, 1976, p. 52 e Ch. Perelman, Il dominio retorico, Torino, Einaudi, 1981, p. 134.

[17] M. C. Beardsley, op. cit., p. 144.

[18] Basta un superficiale esame delle fig. 1 e 2 per notare tante somiglianze tra il metodo di Poirot e i principi del pensiero critico (su quest’ultimo cfr. ad esempio E. R. Lai, Critical Thinking: A Literature Review, http://images.pearsonassessments.com/images/tmrs/CriticalThinkingReviewFINAL.pdf (consultato in data 11/12/16 e la pagina criticalthinking.net, http://www.criticalthinking.net/longdefinition.html (consultato in data 12/12/16); sulla didattica ispirata al metodo di Poirot cfr. T. Sierotowicz, Poirot e lo studio di funzione. Analisi matematica per i poeti, “Lettera Matematica”, 10(2016), pp. 51-59).

[19] Cfr. F. Coniglione, Popper addio. Dalla crisi dell’epistemologia alla fine del logos occidentale, Roma, Bonanno Editore, 2008, p. 145.

[20] Cfr. rispettivamente, L. Laudan, The Demise of the Demarcation Problem, in R. S. Cohen, L. Laudan (a cura di), Physics, Philosophy and Psychoanalysis: Essays in Honor of Adolf Grünbaum, Dordrecht, D. Reidel, 1983, pp. 111-127 e www.theguardian.com/books/2015/aug/02/academics-unlock-formula-agatha-christies-mysteries; sito consultato in data 31/01/16.

[21] Un'altra magistrale descrizione del metodo di Poirot si trova in RG, pp. 99 e ss., e in DO, seconda parte.

[22] Poirot dichiara di non credere a niente di quanto gli viene raccontato e sospetta chiunque. In altre parole sospetta “qualsiasi persona, che si trovi coinvolta in un delitto” e la considera un criminale “finché non si è dimostrata innocente” (DC, p. 84; cfr. anche AE, p. 46, CS, p. 66, PD, pp. 89-91, NS, p. 64, TA, p. 201 e DO, p. 175).

[23] R. Bodei, La filosofia del novecento, Roma, Donzelli Editore, 1997, p. 99. Poirot sostiene che nella vita reale non esistono i fatti certi, non indiscutibili (EH, p. 163).

[24] In fin dei conti “si vede davvero solo con gli occhi della mente” (RG, p. 143; cfr. anche PD, p. 159 e BV, p. 20, TT, p. 126); il che equivale a dire che il caso si risolve con il pensiero (TT, p. 159). Infatti, ciò che vediamo solamente guardando non sempre corrisponde al reale svolgimento delle cose e talvolta potrebbe essere fuorviante. Poirot più di una volta sottolinea la circostanza che gli accadimenti reali possono non corrispondere alla realtà percepita tramite lo sguardo. Così va intesa la sua affermazione pronunciata verso la conclusione dell’avventura sul Nilo: “noi abbiamo solo una prova visiva, qualcosa cioè di valido superficialmente, ma non di certo” (PN, p. 222 – il corsivo è di Poirot) oppure una frase detta durante la conferenza finale in CS: “ha visto un corpo... non un cadavere” (CS, p. 155).

[25] Non si può non menzionare in questo contesto il modo in cui Michel Houellebecq presenta la teoria delle storie consistenti di Griffiths (M. Houellebecq, Particelle elementari, Milano, Bompiani, 1999, pp. 66-68).

[26] Cfr. sotto la fig. 1.

[27] Cfr. ad esempio CT, p. 202 o in modo paradigmatico in AE, pp. 200-215 e DO, pp. 155-186. Il racconto di Poirot si sviluppa come se egli stesso fosse un testimone oculare dell’accaduto (cfr. A. Hart, Agatha Christie‘s Poirot, London, Harper Collins Publishers, 1997, p. 130).

[28] A. Hart, Agatha Christie‘s Poirot, cit., pp. 148 e 163.

[29] Ivi, pp. 270-271.

[30] L’originale inglese contiene un commento di Poirot, inserito tra parentesi nella sua relazione sull’assassinio in questione che manca nella traduzione italiana: “for I am good - said Hercule Poirot in a parenthesis - at putting myself into other people’s minds” (CA, p. 290). Ne fa eco la seguente affermazione di Miss Marple che così commenta la suggestione che il suo lavoro sia solamente un mero indovinare: “not guesswork, said Miss Marple, it’s all in Mark Twain. The boy who found the horse. He just imagined where he would go if he were a horse and he went there and there was the horse” (A. Hart, Agatha Christie‘s Marple, London, Harper Collins Publishers, 1997, p. 127).

[31] Il caso viene narrato nel racconto SD, pubblicato altrove con il titolo Hercule Poirot, Armchair Detective, pubblicato da Agatha Christie sulla rivista “Ellery Queen's Mystery Magazine”, 11(1958), pp. 15-26.

[32] Cfr. A. Hart, Agatha Christie‘s Poirot, cit., p. 118 e AE, p. 47.

[33] I “controlli del caso” riguardano non soltanto le circostanze, i tempi, le coincidenze, ecc., ma anche il controllo della credibilità di un testimone e del modo in cui essa racconta/ricorda i fatti (a questo proposito cfr. ad esempio DO, pp. 115-116).

[34] Cfr. anche la figura del poliziotto della Sûreté, Giraud in AP. Per converso cfr. TT, p. 53.

[35] Si veda pure AE, 52-54. Cfr. anche la storia di Bob, un fox terrier, uno degli “personaggi” principali della storia descritta in DD.

[36] Poirot sostiene che “il metodo di grandi criminali è sempre di un’estrema semplicità” (AP, p. 13; cfr. anche CS, p. 161 e EH, p. 181). In SP Poirot più di una volta sottolinea che il delitto in questione deve essere semplice in quanto appare molto complicato. La conoscenza del metodo dei grandi criminali il detective belga la deve non soltanto alla sua attività professionale, ma anche alla lettura attenta e critica dei gialli, come testimoniano SP e SA, pp. 13-14. Va anche detto che il metodo adoperato nel compiere il delitto il più delle volte è l’effetto di una lunga e accurata preparazione. Ciò non toglie che il delitto può anche essere commesso “seguendo un istinto momentaneo… un lampo di genio… senza avere tempo di fermarsi a pensare” (CT, p. 172). 

[37] Cfr. anche gli elenchi in UD, pp. 47 e 70-72. Importanti anche le domande che Poirot talvolta formula avviandosi alla soluzione del caso, domande che possono essere viste come una lista degli anelli mancanti (cfr. AE, p. 163).

[38] Come direbbe Poirot stesso, dalla confusione degli indizi raccolti metodicamente emerge l’ordine (A. Hart, Agatha Christie‘s Poirot, cit., p. 277; cfr. anche DO, pp. 176-177).

[39] Parafrasi delle considerazioni sulla coerenza di un sistema di postulati che fondano un sistema proposte in E. Nagel, J. R. Newman, La prova di Gödel, Torino, Bollati Boringhieri, 1992, p. 25: “un dato insieme di postulati, posti a fondamento di un sistema”, può essere considerato coerente se non è “possibile dedurre teoremi mutuamente contraddittori dai postulati stessi”. In altre parole, e usando le parole di A. Sfard, “ci si aspetta che due matematici qualsiasi, incaricati di stabilire l’approvabilità di una narrazione giungono necessariamente alla stessa conclusione. In caso contrario, si sospetta che almeno uno di loro abbia deviato dalle regole dell’approvazione” (A. Sfard, Psicologia del pensiero matematico, Trento, Erickson, 2008, p. 264.

[40] Curiosamente nell’edizione italiana da me consultata manca la frase con il riferimento ad Euclide.

[41] Disse Poirot: “la verità, l’ho sempre pensato, è curiosa e bellissima” (DO, p. 156; cfr. anche AR, p. 119 e TT, p. 129). Non sempre però nella vita la verità e la bellezza s’intrecciano, fino a diventare l’una spia dell’altra. Infatti, come direbbe Poirot, nella vita vi è chi cerca “la bellezza a ogni costo”; e vi è chi – come Poirot stesso – vuole “solo la verità. Sempre” (PI, p. 159; cfr. anche UD, p. 147). La verità inoltre, ricorda Poirot, “è un arma a doppio raglio” (PD, p. 90) e a volte può essere molto doloroso scoprirla e conoscerla (cfr. ad esempio EM).

[42] Come succede a Poirot nel caso descritto da A. Christie in PS. Occorre notare che questi criteri sembra che corrispondano ai criteri adottati nell’ambito dei paradigma narrativo – cfr. W. R. Fisher, Narration as a human communication paradigm: The case of public moral argument, in John Louis Lucaites, Celeste Michelle Condit, Sally Caudill (a cura di), Contemporary Rhetorical Theory: A Reader, New York, The Guilfod Press, 1999, pp. 265-287: p. 272.

[43] Cfr. anche A. Hart, Agatha Christie‘s Poirot, cit., pp. 283-295 e MC, p. 549.

[44] All’inizio dell’indagine sulla morte del dott. Morley, Poirot afferma: “bisogna trovare il movente”, perché dietro la morte vi è sempre “una ragione logica” (UD, p. 20; ma cfr. anche AD, pp. 173-174).

[45] Nell’accezione fenomenologica di A. J. Heschel: “insight is a breakthrough, requiring much intellectual dismantling and dislocation. […] What has been closed is suddenly disclosed. It entails genuine perception, seeing anew” (A. J. Heschel, The Profets, New York, Harper & Row, 2001, p. xxv). 

[46] Nell’edizione inglese del classico di Agatha Christie si leggono le seguenti, assai significative affermazioni di Poirot: “I have reviewed the facts in my mind, and have also gone over to myself the evidence of the passengers – with this result. I see, nebulously as yet, a certain explanation the would cover the facts as we know them. It is very curious explanation, and I cannot be sure as yet that it is the true one. To find out definitely, I shall have to make certain experiments” (MO, pp. 177-178). Queste frasi non si trovano nell’edizione italiana da me consultata (cfr. AE, p. 170).

[47] AE, p. 208. Per un altro esempio cfr. SM, pp. 224-225. Il fenomeno qui descritto assomiglia al fenomeno “ah, ah”, chiamato anche il fenomeno dell’insight. A questo proposito cfr. A. Sfard, op. cit., pp. 256-257.

[48] Cfr. P. Roth, Operazione Shylock. Una confessione, Milano, A. Mondadori Editore, 1994, p. 31.

[49] M. Serres, Il mancino zopo. Dal metodo non nasce niente, Torino, Bollati Boringhieri, 2016, in modo particolale il capitolo Serendipità contro metodo, pp. 112-114.

[50] Come un’analogia, forse molto lontana, ma pur sempre un’analogia, viene in mente una delle formulazioni non tecniche dei teoremi di incompletezza di Gödel, aperta alle interpretazioni di carattere filosofico e persino teologico, come ad esempio questa proposta da J-Y. Girard: “se T è coerente, esiste un enunciato universale vero, ma non dimostrabile in T” (Id., Il sogno del segno o il fallimento del riduzionismo, in E. Nagel, J. R. Newman, op. cit., pp. 109-136: p. 124).

[51] Cfr. A. Hart, Agatha Christie‘s Poirot, cit., pp. 279-280 e E. F. Bargainnier, The Gentle Art of Murder: The Detective Fiction of Agatha Christie, Bowling Green (OH), Bowling Green State University Popular Press, 1980, pp. 63-64.

[52] Per il contesto politico – cfr. ad esempio MQ, pp. 165-177. Per il contesto storico s’intende qui anzitutto il contesto di una storia personale - cfr. ad esempio il ruolo del caso Beroldy nell’indagine descritta in AP oppure l’incipit della conferenza finale in NS: “stiamo per intraprendere un viaggio, un viaggio nel passato, un viaggio negli strani abissi dell’anima umana” (NS, p. 143) che precede un resoconto della storia personale di uno degli attori del delitto.

[53] Cfr. ad esempio la descrizione fornita da Poirot in base alla sua ipotesi di un’altra persona assassinata, prima ancora che gli fosse fornita tale descrizione nel caso del delitto Renauld, le sue ricerche relative al numero dei pugnali e dei loro proprietari sempre in AP, pp. 121 e 139, una progettata ricerca sul passato di lady Westholme in DO, pp 185-186, un telegramma con due domande di conferma mandate alla fine di EH, p. 181, la questione dei vestiti da trovare nell’AE, p. 135 dove Poirot fa delle profezie in merito, l’attribuzione del quadro in Dopo le esequie che praticamente risolve il caso (DE, p. 182), la conclusione della storia descritta in Aiuto, Poirot!, la storia narrata nel racconto NV, nella quale Poirot indaga su un delitto futuro non ancora compiuto oppure nel caso dell’avvelenamento di Richard Abernethie dove Poirot deduce un importante indizio in base ad alcune conversazioni sentite casualmente – DE, pp. 160. Per le istanze cruciali di F. Bacon, cfr. Novum Organum, libro II, l’aforisma 36.

[54] Cfr. E. Agazzi, Analogicità del concetto di scienza. Il problema del rigore e dell'oggettività nelle scienze umane, in: V. Possenti (a cura di), Epistemologia e scienze umane, Milano, Massimo, 1979, pp. 57-76 e Id., L'analogicità del concetto di scienza, “Nuova Secondaria”, 1988(2), p. 1.

[55] A. Hart, Agatha Christie‘s Marple, cit.

[56] A. Christie, Nemesis, New York, Pocket Book, 1989, A. Christie, Il cadavere in biblioteca, Milano, Mondadori, e-book KOBO, 2013, pp. 16 e 80 e A. Hart, Agatha Christie‘s Marple, cit., pp. 59-65, 122-129.

[57] “I would only say that certain people remind me of certain other people that I have known, and that therefore I can presuppose a certain likeness between the way they would act” (ivi, p. 119; cfr. anche pp. 53 e 246).

[58] A. Hart, Agatha Christie‘s Marple, cit., p. 123.

[59] A. Hart, Agatha Christie‘s Marple, cit., p. 124. A questo proposito cfr. anche A. Towles, La buona società, Vicenza, Neri Pozza, 2011, pp. 299-300.

[60] DI, p. 70 (cfr. anche UD, p. 139 e CC, p. 305). Per converso il Poirot non risparmiava le parole critiche nei confronti del suo amico capitano Hastings, a volte molto dure, ma mai in fin dei conti offensive – cfr. ad esempio SU, pp. 68-69, dove Poirot da dello stupido a Hastings.

[61] E anche guardando i film con Poirot, in modo particolare la lunga serie televisiva recentemente ultimata (LWT/ITV Studios) dedicata alle avventure di Poirot con David Suchet nei panni del detective belga.

[62] Il metodo di Poirot, ciò che A. Christie stessa chiamò “scheme of «guessing»” (MO, p. 211). Accanto al sistema di citare i testi di Christie usato nel corpo dell’articolo, è stato introdotto anche un sistema alternativo tramite un rinvio ad una delle tre parti dell’Assassinio sull’Orient-Express (i caratteri romani), seguito da un numero del capitolo.

Il metodo di Poirot

  • Fig. 1 [62]

    Il metodo di Poirot – un protocollo d’indagine.

  • Fig. 2

    Il metodo di Poirot – un modello della scoperta