Patrizia Fughelli ed Elisa Maraldi - Conversando su Caesar Magatus, frate Cappuccino e medico (1577-1647)

«E’ la natura e non il medico con la medicina che guarisce le ferite».
                                                                                                   Cesare Magati.

Questo articolo vuole essere una piccola anteprima sulla figura di Cesare Magati e su cosa verrà presentato di lui all’inaugurazione del Polo Culturale dei frati Cappuccini di Bologna.

Non verrà trattato il fatto che il Magati fosse “sicuramente” uomo di scarsa comunicativa, con un temperamento non molto accomodante, non facile da trattare o che al contrario fosse, altrettanto “sicuramente”, uomo orgoglioso e ambizioso ma affabile ed amante della disputa e della conversazione, come invece hanno asserito su di lui alcuni studiosi. Sarebbero solo supposizioni: chi “conosce” Cesare Magati, lo ricorda come l’autore del De rara medicatione vulnerum del 1616.

E in effetti è una fama legata alla sua unica opera a stampa che riveste poi una particolare importanza nella storia del pensiero medico perché si tratta di un metodo innovativo e alternativo rispetto a quello di derivazione ippocratico-galenica comunemente in uso ai suoi tempi.

Come si evince dalla data di pubblicazione del trattato, il periodo in cui il Magati si trovò ad operare fu cruciale per l’evoluzione della medicina: il pensiero scientifico era in ebollizione e nonostante lo scostarsi dal sentiero tracciato dalla medicina classica fosse ritenuto molto pericoloso, la strada della libera osservazione, dell’esperimento e del ragionamento, veniva comunque intrapresa da personalità attente e attive come il Magati, con risultati sorprendenti.

La documentazione diretta riguardante la vita e l’operato di Cesare Magati non è proprio abbondante, è però insperata e preziosa. Giunge fino a noi grazie all’attività di conservazione  sempre operata nel tempo dai frati Cappuccini e l’Ordine, non solo si è preoccupato di evidenziare le qualità spirituali e religiose di Fra’ Liberato da Scandiano, nome con cui il Magati si firmava dopo il suo ingresso nella vita religiosa cappuccina, ma ha custodito anche il suo prezioso materiale medico. E infatti esiste una copia originale del trattato sulle ferite del 1616, conservata appunto nel Polo Culturale dei frati Cappuccini di Bologna.

Sembra che dall’osservazione del decorso di una piaga sulla gamba di una giovane paziente, Magati avesse avuto l’incontro con il cosiddetto “caso”, un fattore non indifferente che a volte gioca un ruolo importante nel risolvere un problema. Ciò mostra il valore che per l’avanzamento della scienza può avere l’imbattersi di una mente ben preparata, cioè ricca di sospetti, pregiudizi e ipotesi come la sua, in un fatto non programmato.

Il De rara medicatione vulnerum, costituito da due volumi e un’appendice, fu pubblicato a Venezia nel 1616 e oltre a quell’edizione, ne furono pubblicate due postume, una nel 1676 edita sempre a Venezia e una nel 1733 edita a Lipsia e Amsterdam.

Frutto della lunga meditazione nata in Magati nel periodo trascorso tra il suo soggiorno romano e quello scandianese, il testo fu ulteriormente elaborato per quanto riguarda il metodo scientifico, a Ferrara, dove lui ebbe la cattedra in chirurgia dall’anno accademico 1612-13 all’anno accademico 1617-18.

In qualità di docente universitario, Magati seguì l’impostazione tradizionale nella programmazione didattica, ma nel contempo insegnò agli studenti il nuovo metodo di cura delle ferite da lui applicato, per cui fu più volte richiamato per eccesso di libertà di pensiero e di azione medica, e invitato perentoriamente a seguire l’insegnamento dei vecchi Maestri.

Magati era fondamentalmente convinto della validità del sistema galenico, ma era nello stesso tempo curioso e aperto alle nuove “evidenze”, tanto che con un solo libro riuscì a suscitare enormi polemiche, sfociate poi nell’alterco parlato e scritto con Sennert.

Le polemiche erano causate delle notevoli innovazioni apportate nel trattamento delle ferite: il metodo da lui patrocinato prevedeva una medicazione semplice, pulita, rinnovata ad intervalli tali da non disturbare le difese naturali dell’organismo, con medicamenti usati con oculatezza al fine di garantire la naturale cicatrizzazione e rigenerazione dei tessuti.

Magati consigliava di lasciare agire la natura e di agevolarla attraverso l’occlusione perfetta della ferita con molteplici strati di medicazione, affinché l’aria non la infettasse e incoraggiava l’estrazione sollecita dei corpi estranei dalle lesioni solo nei casi in cui risultasse agevole farlo, aspettando in caso contrario l’evoluzione spontanea che tendeva a farli fuoriuscire. La modalità classica di cura delle ferite prevedeva invece la medicazione quotidiana della lesione, con l’apertura mediante specilli e la detersione, e ciò rappresentava per l’organismo ovviamente un’ “invasione” ogni volta maggiore, che distoglieva la natura dai propri compiti.

Dalla lettura degli scritti di Magati emerge, oltre alla sua profonda conoscenza della letteratura scientifica (messa in luce dalle svariate citazioni di passi tratti soprattutto dalle varie opere di Galeno testimonianti la sua fedeltà alle teorie dell’antico metodo), il suo interesse al “modo” con cui l’individuo reagiva alla cura della lesione e alle concause di ordine medico che potevano incidere sul decorso e sulla guarigione della ferita.

Nerbo della sua teoria, di cui dimostrava la validità nei risultati pratici, era il principio che riconosceva alla potenza delle forze della natura, e non al medico, la facoltà di guarire le ferite. La natura era per lui in grado di sopperire anche agli errori dei medici, se perpetrati su individui forti. E’ evidente che Magati si stava scontrando su un terreno particolarmente infido, che toccava il prestigio di alcuni “luminari”: se le ferite curate con il suo metodo, tanto innovativo quanto rispettoso delle forze naturali, guarivano troppo presto, le lunghe cure protratte con visibile grande fatica perdevano importanza, e di conseguenza non arrecavano più ai medici che ancora le seguivano molta “pecunia”.

A proposito della sua adesione e fiducia totale al sistema natura, degno di nota è il fatto che il metodo curativo veicolato da Magati non lasciasse spazio al suo interno all’astrologia medica, cui nel corso del Seicento moltissimi medici si affidavano a scopo diagnostico.

Più che giustificare il caso con l’autentica vocazione religiosa che  portò Magati a farsi frate Cappuccino (la Chiesa da sempre avversa alle pratiche oroscopiche volte alla predizione del futuro accoglieva invece benevolmente l’osservazione degli astri subordinata ai nobili scopi della medicina; non mancavano nel Seicento religiosi, al contempo filosofi, medici e astrologi che credevano all’influenza degli astri sulla salute umana), si può invece ipotizzare che la sua ripulsa per l’arte medico-oroscopica fosse dettata dalla sua volontà di figurare come medico rivolto al futuro, animato dal desiderio di affrancarsi dall’ipse dixit galenico, secondo il quale la malattia era dettata nel singolo da discrasia umorale, quest’ultima a sua volta determinata da una predisposizione innata causata da una determinata congiuntura astrale (importante soprattutto, nella definizione del temperamento, quella preposta alla nascita dell’individuo).

La sua emancipazione dalla dottrina umorale di Galeno era però graduale e mai totale o netta: del resto l’eccezionalità del Magati e la sua volontà di mostrarsi al passo con i tempi si misurava proprio qui, nel fatto che, pur convinto del sistema galenico nella sua interezza, egli era d’altro canto aperto e favorevole ad accogliere gli apporti innovativi derivati dai nuovi studi medici dell’epoca. Ciò non significa in lui indecisione o ambivalenza, ma fermo desiderio di fungere da ponte tra due secoli, tra due modalità d’indagine medica, quella classica dei grandi Maestri e quella moderna della medicina specialistica.

A questo punto, la trattazione della figura di Cesare Magati deve necessariamente toccare il “Magati Cappuccino”, per chiedersi il motivo che può averlo indotto a lasciare la cattedra in chirurgia, conquistata con tanta fatica.

La storia dice che già sacerdote, l’11 aprile 1618 entrò a Bologna nell’Ordine dei frati minori Cappuccini, prendendo il nome di Fra’ Liberato da Scandiano, ma che continuò ad esercitare la sua professione, avendo ottenuto dai superiori l’autorizzazione, compatibilmente con l’osservanza degli Statuti dell’Ordine. Così a 41 anni e 8 mesi, quando aveva raggiunto una posizione invidiabile, si fece frate.

L’interruzione dell’insegnamento a metà anno accademico lascia perplessi. Probabilmente, come hanno giustamente ipotizzato alcuni studiosi, non dipese né dall’astioso comportamento del consiglio direttivo dell’ospedale, né dalla dura lotta con i colleghi ferraresi: data la sua fama, poteva concorrere per un altro Ateneo e ottenere altrove un altro posto da chirurgo. Non dipese probabilmente nemmeno dalla Santa Inquisizione: le sue opere ne avevano ottenuto il nulla osta. Non fu determinata nemmeno dall’inimicizia di un nobile la cui moglie dicevasi invaghita di lui: per sfuggire all’infamia sarebbe potuto scappare oltre i confini per non essere più cercato.

Quindi perché il tanto affannarsi dei critici nel voler trovare una forte motivazione al suo repentino ingresso a vita religiosa e non pensare davvero all’autenticità della sua vocazione? Perché è tanto difficile accettare Dio? La volontà di condurre una vita spiritualmente impegnata, il desiderio di allontanarsi dalla vanità del mondo, trovavano dimora nel suo firmarsi “Fra’ ” e non “Prof.” anche quando trattavasi di consulti medici.

Tormentato sempre più dalla calcolosi vescicale, di cui soffriva da tanti anni, fu operato da un chirurgo norcino che gli tolse tre grossi calcoli, ma l’intervento ebbe delle complicazioni nell’estrazione del quarto calcolo, il più grosso e ricoperto da una membrana. Tre giorni dopo, il 9 settembre 1647, Cesare Magati moriva a Bologna nel Convento del Monte Calvario che divenne poi Villa Revedin e Seminario Arcivescovile.

Il 9 settembre 1647 fu la data della morte non solo di un medico/frate o frate/medico che dir si voglia, ma di un uomo che seppe autenticamente avvicinarsi a Dio dopo essersi preso cura dell’uomo.


Fonti primarie
Cesare Magati, De rara medicatione vulnerum, 1616.

Fonti secondarie
L.R. Angeletti, Introduzione alla medicina del Seicento tra antichi paradigmi e innovazioni, in Scienza e miracoli nell'arte del '600: alle origini della medicina moderna, a cura di S. Rossi, Milano, Electa, 1998.

S. Arieti, Il medico del Barocco tra influssi astrologici e nascita della medicina scientifica, in I medici attraverso secoli di storia tra saper essere e saper fare. (Atti del Convegno, Salerno 14 marzo 2008), Salerno, 2010, pp. 63-71.

E. Casali, Le spie del cielo. Oroscopi, lunari e almanacchi nell’Italia moderna, Torino, Einaudi, 2003.
C. Castellani, L’attività clinico-medica di Cesare Magati, Milano, Edizioni Stedar, 1959.

Cesare Magati medico e religioso. Atti del Convegno di Studi tenuto presso la Sala Consiliare del Comune di Scandiano (2 ottobre 1977), Roma, L’Italia Francescana Editrice, 1978.