Gian Mario Anselmi - Colazione letteraria

Colazione

E’ noto che la cosiddetta “prima colazione” o “colazione” ha un’importanza  e caratteristiche molto diverse in Italia e nei paesi mediterranei rispetto all’Europa del Nord, al mondo anglosassone, al Nordamerica : e basta andare a un buon Dizionario storico per capirlo immediatamente. Ad esempio il Battaglia dice con molta semplicità che la colazione è un “leggero pasto che si fa al mattino appena alzati, per lo più a base di latte, caffè e pane”.  Forse a questa fin troppo sobria definizione occorrerebbe aggiungere che storicamente al pane e al caffelatte (o al caffè della moka o alla cioccolata in tazza o al the) si uniscono talora la marmellata o il burro o entrambi (è anche la classica colazione base delle case francesi con l’immancabile baguette) magari accompagnati da biscotti talora caserecci, per lo più industriali o di panetteria, o dalla moderna nutella. Non è chi non veda la differenza profonda con le colazioni nordiche e statunitensi, ricche di molte vivande salate (carni, insaccati, pesci affumicati, formaggi e derivati, uova soprattutto in varie fogge e con pancetta) , dolci e bevande calde e fredde (il caffè nero lungo), vero e proprio primo pasto che prepara alle fatiche della giornata o ai rigori del clima invernale.

Oggi le cose sono un po’ cambiate e qualcosa, delle due tradizioni, nel mondo globale, si è contaminato: alla colazione italiana si sono aggiunti ingredienti importati appunto dalla cultura nordica e statunitense (fortemente promossi non solo dalla pubblicità ma soprattutto dalla grande imagerie cinematografica e televisiva) come le fette biscottate o i cornflakes o i toasts o i frutti in particolare sotto forma di succhi e spremute o i panini con prosciutti e formaggi, merendine varie, lo yogurt (in realtà già fortemente presente da secoli tra Grecia e Turchia e in molte aree slave anche al posto del latte), e  specie come ingredienti atti a migliorare i regimi alimentari di bambini e adolescenti. Così nel mondo anglosassone e statunitense la colazione o breakfast (termine oggi dilagante in tutti i paesi a distinguere la colazione dal pasto vero e proprio di metà giornata) si è “alleggerita”  di cibi, bevande e calorie conseguenti, in virtù di mode di derivazione mediterranea o giapponese, di esigenze dietetiche, di tempi stretti dettati da ritmi sincopati di lavoro fin dal primo mattino.  E’ ovvio che tali osservazioni andrebbero comunque calibrate a seconda dei ceti sociali, delle condizioni economiche, dei tempi di lavoro e di riposo (i giorni festivi consentono ritmi più lenti al mattino e perciò colazioni più articolate e preparate con più cura fino all’uso, sempre statunitense, del brunch domenicale come fusione del breakfast e del lunch di mezzogiorno in un unico, lungo rito di vari assaggi, bevande e cibi in successione quasi per gustarsi al meglio la festività ed il giorno di riposo). A ciò si aggiunga che la colazione ha come un duplice statuto se così ci è permesso definirlo.

Vi è infatti ormai, in molti paesi e in Italia già da molto tempo, una colazione che si consuma a casa magari con tempi differenziati dei vari componenti familiari a seconda dell’ora in cui si deve uscire per impegni fin dal mattino o a seconda che si possa indugiare in casa; la colazione quindi è per lo più, e specie nelle colazioni  essenziali della tradizione mediterranea, quasi solitaria e rapida in contrasto con il pranzo o la cena che invece vedono radunati in genere intorno alla tavola tutti i componenti familiari o i conviventi o gli amici, ecc. , rito “familiare” squisitamente italico e mediterraneo da secoli. Vi è poi un’altra, ulteriore colazione, specie di  chi si reca al lavoro, che si consuma, una volta usciti di casa, in bar e caffè: altrettanto rapida ma arricchita sovente di qualcosa che non è facile preparare in breve tempo nelle proprie dimore, croissant, pizzette, panini, fette di torte dolci o salate, tazza di cioccolata. Unica eccezione, in molte regioni d’Italia, la mattina di Pasqua: il giorno della “rinascita” e della Resurrezione del Cristo presuppone la mattina  presso le case, soprattutto nei paesi, in campagna, nel mondo rurale, a celebrare la vittoria del Cristo contro le tenebre della morte, abbondanti colazioni, segnate da molti ingredienti salati a forte valenza simbolica di rinascita e di abbondanza, uova benedette naturalmente, cacio, fave, salame, torte salate o “pasqualine” appunto cui l’industria moderna del consumo ha aggiunto le uova di cioccolato con sorpresa, le colombe dolci e così via. Ma è proprio l’eccezionalità di questa consuetudine (sorta di brunch pasquale all’italiana) che sottolinea la norma nostrana quotidiana e feriale della colazione veloce e costituita da pochi ingredienti.

Nella cultura italica (e ormai mondiale si potrebbe dire grazie al trionfo dell’italian style e delle abili ditte italiane produttrici) il ruolo centrale è rappresentato dall’”espresso” ovvero dal caffè ristretto prodotto dalle apposite macchine, perfezionamento sublime del consumo di un prodotto di origine mediorientale-araba che ininterrottamente circola nei locali pubblici europei in varie forme fin dal Seicento e che merita il titolo di re delle bevande calde occidentali e di signore incontrastato delle colazioni accanto all’altrettanto mitico prodotto italico tipicamente da consumarsi al bar ovvero il “cappuccino” (notoriamente per gli italiani da consumarsi solo al mattino mentre è bevanda graditissima, con qualche riserva nostrana, ai turisti stranieri in ogni ora del giorno); dagli Stati Uniti peraltro (ma bisognerebbe ricordare anche la Germania e la Francia), sulla scorta delle odierne ondate di moda, deriva e si afferma sempre più nei locali pubblici e negli alberghi il cosiddetto “caffè americano” o caffè lungo e diluito (il “gran café “ francese), promosso ormai a livello globale da celebri catene come Starbucks che per altro offrono anche espressi e cappuccini in varia forma e specie. Per gli insofferenti alla caffeina non mancano i succedanei, dai caffè decaffeinati ai recenti “caffè d’orzo in tazza grande” particolarmente cari alle signore non giovanissime, raramente tisane, in genere relegate al pomeriggio o alle ore serali. Mentre latte, caffelatte ( per i bambini spesso la cioccolata solubile) e the (sempre più diffuso a partire dall’Ottocento sul modello inglese come bevanda sostitutiva o complementare del caffè nella colazione) sono più propri della colazione casalinga.

In Sicilia poi, unico luogo al mondo insieme alla Calabria, vi è la storica e straordinaria consuetudine, ricordata spesso da scrittori e giornalisti (Alvaro, Sciascia, Brancati, Camilleri e molti altri) soprattutto in estate, della colazione al bar a base di granita di limone o di caffè o di gelso talora accompagnata da un tipo di brioche tondeggiante adatta appunto alla granita. La colazione al bar è sovente anch’essa rapida e solitaria ma non mancano peculiari aspetti di socializzazione e di conversazione: incontri fuggevoli ma spesso piacevoli con colleghi o amici, scambi rapidi di battute per lo più scherzose con baristi e avventori, lettura del giornale, insomma una modalità rituale e quasi propiziatoria per cominciare in tono gradevole una giornata talora dura, fatta spesso di lavoro e preoccupazioni. Di recente l’industria dolciaria e alimentare italiana ha come “inventato” in importanti e famose campagne pubblicitarie la tradizione della colazione del buon tempo antico, a base di pochi e genuini ingredienti, per lo più dolci e biscotti “della nonna” da abbinare al latte o al caffè, in case di campagna patinate e attorno a tavole dove si raduna fin dalla mattina la lieta famigliola, nonni, genitori, bambini (e animali domestici) pronti a consumare insieme i fragranti prodotti che il marchio famoso ci propone e pronti a iniziare in serenità il nuovo giorno.

Il successo di simile campagna pubblicitaria è stato grandissimo (anche all’estero) e ha consegnato ai consumatori una tradizione che in realtà non è mai esistita a livello diffuso in questi termini, portando al centro dell’attenzione il momento della colazione “fatta insieme” e suggerendo alle nostre famiglie e ad altri paesi il modello della buona e genuina colazione italiana  come se tale fosse stata da sempre. In questa rivoluzione dei gusti e dei costumi che sta passando sulle nostre tavole non va ovviamente dimenticato il ruolo svolto da nuove abitudini alimentari suggerite da medici, dietisti, alimentaristi pronti a ricordare agli italiani (frettolosi di mattina con caffè e brioche al bar) l’importanza di cominciare la giornata con una buona colazione adatta ad equilibrare il nostro apporto di calorie nella giornata. Eppure questo modello molto familiare ed edulcorato non ha infranto una ulteriore percezione della colazione, cui finora non si è accennato: ovvero la colazione del risveglio dopo una notte d’amore, l’eros che si prolunga nella “colazione a letto” fra amanti, il “lui” che porta romanticamente alla “lei” su un vassoio (magari con un fiore, preferibilmente una rosa) una buona colazione, forse prodromo di ulteriori momenti d’amore accesi proprio dal caffè, dai dolci, dai frutti in antico intreccio tra eros, cibo e seduzione.

Questa immagine, più ancora che dalla letteratura, ci è stata consegnata da tantissimi film e serie televisive, proiezione moderna di costumi già sette-ottocenteschi che abbinano il risveglio dei coniugi o meglio degli amanti al rito della colazione da consumare insieme come culmine di totale intimità e di languori sensuali. Ma ovviamente anche questa modalità di piacevole risveglio necessita di tempi dilatati, di gusti e dolcezze da assaporarsi con calma, di condizioni di benessere economico che può curarsi poco degli assilli del lavoro: a volte non a caso questa immagine è associata a colazioni da consumarsi in Hotel prestigiosi o in navi da crociera (la classica “colazione in camera” di proustiana memoria!), luoghi pronubi per eccellenza al favore degli amori e delle trasgressioni e dove il rito del breakfast assume comunque per tutti un ruolo fondamentale, per gli amanti come per le famiglie o i manager, quasi a voler “straniarsi” fin dal mattino dai tempi e dalle abitudini (anche alimentari) ripetitive e monotone della vita casalinga.  E’ naturale che se guardiamo a tempi più lontani e ci soffermiamo sui ceti subalterni e poveri, contadini, braccianti,manovali, operai, la colazione non assume più queste tonalità romantiche e patinate:  il suo tempo è all’alba, quando  fuori è ancora buio o vi sono solo le primissime luci, si compone di pochi ingredienti essenziali accompagnati in genere da caffè nero e latte.

Il pane e qualche cibo salato o qualche pezzo di focaccia dolce rustica servivano ad apportare quel minimo di calorie indispensabile alla dura fatica fisica che sarebbe seguita nel luogo di lavoro, fabbrica o campo che fosse.  La colazione segna perciò, da sempre, una sorta di discrimine sociale tra i ceti e le diverse loro modalità del vivere quotidiano. Non è oggetto di particolari menzioni comunque nella letteratura medievale e rinascimentale, e in genere lo è sotto forma di brevi accenni in testi a carattere narrativo ( da Andrea da Barberino al Piovano Arlotto al Pulci o a Sabadino degli Arienti)  che non sembrano ancora però marcare intorno alla colazione la vera differenza sociale che invece ampiamente è riferita ai pranzi e alle cene, tante volte  rappresentati come opulenti e pieni di vivande in quelli dei signori e dei potenti  in contrasto con il desco vuoto dei poveri e dei subalterni : già Boccaccio descrive i sogni, cari ai poveri, riferiti al mitico paese di Cuccagna pieno di cibi e delizie fino a giungere nella tradizione popolare agli eterni affamati delle maschere popolari degli “Zani”, degli Arlecchini, dello stesso Bertoldo e della sua povera famiglia, con Marcolfa e Bertoldino, creati dalla fervida immaginazione di Giulio Cesare Croce tra Cinque e Seicento, mondo di affamati “in piazza” ben presente nella quasi coeva opera di Tomaso Garzoni (due autori bolognesi ! Una sorta di costante e popolare attenzione al cibo che tanto segnerà l’identità della città dotta e grassa per antonomasia).

Insomma la colazione, come scansione articolata e importante della giornata, dotata di sua specifica fisionomia, punto netto di distinzione tra aristocratici e subalterni, è cosa al tutto moderna, sostanzialmente a datare dal Settecento. E se il pittore francese Chardin, uno dei maestri moderni, settecenteschi di “nature morte”, in molti quadri dipinge il tavolo con gli ingredienti per la colazione secondo un aggregato sobrio ed essenziale (una o due uova, del pesce, il pane, frutta, il bricco del latte o del caffè o il bicchiere d’acqua), è altrove che dobbiamo cercare per trovare il trionfo della colazione sontuosa e lussuosa contrapposta a quella degli umili lavoratori e dei poveri : conviene tornare in Italia, in Lombardia, sempre nel Settecento, a un grande poeta e pensatore illuminato, a Giuseppe Parini. Quando egli nel 1763 diede alla luce Il Mattino, prima parte del poema di satira sociale antiaristocratica Il Giorno, rimasto poi incompiuto, immediatamente ai lettori del tempo come a quelli che seguirono apparve memorabile ( tanto da divenire quasi proverbiale) il risveglio del “giovin signore”.

Ovvero sono di fattura stilistica perfetta e di ineguagliata ironia sarcastica i più di duecento versi dedicati al risveglio a giorno inoltrato del giovane e ricco aristocratico che si era coricato all’alba, dopo una notte di amori e divertimenti, proprio quando i contadini, i braccianti, gli artigiani si stavano recando al lavoro: il giovane ricco e parassita  si sveglia languidamente e con cautela, chiama a raccolta la sua servitù che deve provvedere a rendere confortevole e degno di un eroe che torni da chissà quali grandi imprese il “trauma” dell’inizio di un nuovo, ozioso giorno. Il ricorso ironico a immagini mitologiche care alla cultura neoclassica del tempo accentua il contrasto tra la straordinaria fattura d’apparenza epica e solenne dei versi del Parini e la sostanza mediocre e inutile della vita del ricco aristocratico, bersaglio degli strali dell’illuminato e progressista poeta. Infatti, mentre chi lavora già da molto si dedica alle sue fatiche quotidiane per fornire del minimo necessario la propria famiglia (e ovviamente con la piena compartecipazione solidale del poeta), il giovane signore deve sciogliere il primo cocente dubbio della sua futile giornata ovvero cosa gustare, come bevanda consolatrice del “duro” risveglio, per la colazione mentre ancora si attarda tra i cuscini del letto. Il “damigello” gli propone infatti l’alternativa (allora già ben consolidata nei costumi del mattino) fra il “brun cioccolatte” o,  se il signore è gravato di “noiosa ipocondria” o è timoroso di prendere troppo peso, il rigenerante e meno calorico caffè, “la nettarea bevanda ove abbronzato/ fuma et arde il legume a te d’Aleppo/ giunto e da Moca, che di mille navi/ popolata mai sempre insuperbisce. “ (vv. 140-143).

Parini, in un crescendo ironico che mescola antico e nuovo epos, sottolinea che a questo mirabile fine sono servite appunto le conquiste dei nuovi mondi, le guerre, le stragi dei nativi sottomessi, le imprese di generali e condottieri a Occidente come a Oriente, ovvero poter provvedere infine al giovane aristocratico (inutile a sé e agli altri) la scelta tra bevande prelibate e raffinate, regine della sua colazione ! Così Parini, nel testimoniarci gli usi di una aristocrazia che anche nel rito della colazione collocava un segno netto di distinzione rispetto al resto della popolazione dedita al lavoro (compresi quei borghesi la cui sobria tavola, come ricordavamo,  Chardin in quegli stessi anni andava dipingendo), contemporaneamente mette in campo la sua pietas partecipe sia verso chi è costretto alle dure fatiche del lavoro quotidiano e incessante sia verso chi, nei Continenti colonizzati, viene duramente sfruttato o è stato sterminato ( “ Cortes e Pizzarro umano sangue/ non istimar quel ch’oltre l’Oceàno/scorrea le umane membra..”) per fornire di prelibatezze l’apparato lussuoso della ormai fatiscente nobiltà milanese ed europea.

L’illuminista moderato, il riformatore, attraverso la poesia, attraverso uno dei testi che si imporrà come un classico per eccellenza della nostra letteratura e uno dei più originali in questo senso della letteratura europea, dà voce allo sdegno che circolava ormai ampiamente nei cenacoli culturali più avanzati delle principali città, a cominciare da Parigi ovviamente. Il rito della colazione è quindi già tutto dispiegato nel Settecento e anzi consente di mettere in campo, come nel caso di Parini, efficaci spaccati delle dinamiche sociali che si stavano definendo sullo scenario italiano ed europeo. E’ quindi del tutto conseguente che Eugenio Scalfari in un suo recente volume (Per l’alto mare aperto) che rappresenta una sorta di cavalcata attraverso la modernità, specie sui versanti della filosofia, della letteratura e della musica, dia avvio alla narrazione con un capitolo tutto settecentesco e francese, Il viaggio con Diderot, che narra di una sorta di incontro immaginario dell’autore con Diderot nella Parigi del Settecento.

I momenti più pregnanti della conversazione si svolgono in due mattine all’ora di colazione: la prima volta nel celebre caffè Procope (ancor oggi esistente), fondato a fine Seicento da un siciliano, tal Procopio appunto, nel cuore della vecchia Parigi e presto divenuto luogo d’incontro di benpensanti, ricchi borghesi, intellettuali. “Lì ci sedemmo. Eravamo soli in quel momento davanti a un bricco di caffè denso e bollente. Riprendemmo il discorso appena iniziato” (p.11): è la colazione sobria, fatta di solo caffè, la colazione degli uomini attivi e infervorati nel loro conversare di philosophes cui non aggradono le mollezze degli aristocratici. La mattina dopo però Diderot reclama di voler chiaccherare solo a stomaco pieno e allora all’Hotel de la Reine, dove il narratore immagina di aver trascorso la notte, vengono serviti “caffè, latte, brioche,fragole” (p.21). Ancora una colazione sobria per altro che richiama i quadri di Chardin, mattiniera (Diderot appare presto al mattino al suo interlocutore)  animata sempre dal caffè ( “bevanda asiatica” di cui discettò persino Luigi Ferdinando Marsili in apposito trattatello del 1685), bevanda per eccellenza atta a dare tono, a facilitare l’applicazione intellettuale di chi è ansioso di capire il mondo e di conversarne (la conversazione col caffè e nei caffè è una sorta di variante moderna della umanistica e rinascimentale “arte della conversazione”). In un  certo senso la colazione che si svolge il mattino e che facilita il “risveglio” propone perciò non solo le pigre mollezze dell’aristocratico inetto ma, negli spiriti  vivaci e perspicaci, acuisce riflessioni, propositi, osservazioni: ed è così che Edmondo De Amicis ci appare in uno dei suoi tanti e fortunati libri di viaggio, Sull’Oceano (da grande reporter quale fu con doti singolari di scrittore, che è aspetto, oggi, che andrebbe tutto riscoperto, del celebre autore di Cuore).

Questo originale libro narra il viaggio che De Amicis fece verso il Sudamerica nella primavera del 1884 (il libro uscirà poi nel 1889): le lunghe giornate sull’Oceano, la vita sulla nave, gli incontri. Il libro non è solo la descrizione di un viaggio e delle sue sensazioni: è anche uno sguardo appassionato e partecipe alla vita degli emigranti italiani, a coloro che si sono imbarcati per povertà, per tentare la fortuna e cercare lavoro oltreoceano. Il viaggio è un continuo trascorrere di immagini e osservazioni, magistralmente orchestrate dall’autore, tra i colori dell’Oceano e del cielo, la vita dei viaggiatori più fortunati e l’universo povero e brulicante degli emigranti. Ancora una volta si appalesano contrasti di vita e di percezioni (che non potevano certo sfuggire al socialista umanitario De Amicis), ancora una volta il loro manifestarsi è al mattino “poco dopo le otto, che era l’ora della colezione”. L’autore-viaggiatore, ai primi giorni di navigazione, si reca sul ponte destinato agli emigranti e ne coglie i gesti umili e sottomessi, il raggrupparsi fitto ai posti che ciascuno si era scelto, il dipanarsi delle piccole incombenze mattutine: “una parte dei passeggeri intingevano ancora le gallette nel caffè nero, con le gamelle di latta sulle ginocchia” (p.30). Non è vita di crociera da ricchi, è la scelta dolorosa di allontanarsi dai luoghi natii per necessità, adattandosi anche (molti non avevano mai viaggiato prima) a quella singolare vita di mare, a quell’Oceano sterminato la cui inquietante presenza si tenta di “addomesticare” con i riti di casa, con le faccende, le abluzioni, la cura dei piccoli e la colazione naturalmente, ben diversa da quella dei passeggeri di prima classe, la colazione di caffè nero e dure gallette da intingervi, in un contenitore di povera latta ben lontano dai bricchi e dalle tazze in porcellana, dal prezioso “servizio per colazione” delle case borghesi o aristocratiche.

Non è neppure il caffè dei filosofi al Procope; è il caffè per nutrirsi, per sentirsi a casa, per rispondere ai bisogni primi di un’esistenza povera che De Amicis coglie con grande finezza: “ Ma se qualcosa poteva far sorridere, lo spettacolo, tutt’insieme, stringeva l’anima […] la maggior parte, bisognava riconoscerlo, eran gente costretta a emigrare dalla fame, dopo essersi dibattuta inutilmente, per anni, sotto l’artiglio della miseria” (p.35). Il caffè a fine Ottocento è ormai una bevanda popolare ed economica, non più privilegio dei ricchi, anzi ingrediente imprescindibile, accanto al latte, della colazione di tutti . E’il luogo e il modo in cui si consuma semmai a marcare le differenze sociali, dal ponte di terza classe di una nave affollata di poveri agli eleganti locali esclusivi, spesso ancora oggi esistenti, in cui la mattina si ritrovavano nelle principali città dell’Italia umbertina i ceti più abbienti o in anni successivi anche gli intellettuali e gli artisti (il Florian a Venezia, il Pedrocchi a Padova, il Caffè Greco a Roma, le Giubbe Rosse a Firenze, il S.Carlo a Torino, Zanarini a Bologna e così via). Il gustare dolci e delicatezze, perfino qualche leggera bevanda alcolica, per colazione, talora in intimità con l’amata nella propria dimora signorile ed elegante, diviene perciò segno distintivo del dandy o dell’artista raffinato così come ricorre nei romanzi di D’Annunzio e di tanti scrittori europei nell’età del decadentismo.  Tutto sommato, dal “giovin signore” del Parini in poi, si configura un immaginario di lunga durata che fa della colazione in un luogo esclusivo il simbolo stesso della ricchezza, dello status symbol, persino del riscatto sociale ed esistenziale: e qui ovviamente il pensiero corre fuori d’Italia, all’agrodolce e inquieto romanzo di Truman Capote, Breakfast at Tiffany (1958) e soprattutto alla sua trascrizione cinematografica del 1961 che, pur tradendolo nella sostanza e ritrascrivendone la partitura in chiave di ironica “leggerezza”, lo rese celebre.

Celebre soprattutto per la straordinaria interpretazione di Holly/Audrey Hepburn (le sue immagini tratte da quel film sono tra le icone del nostro mondo e di un intero “stile”), l’adorabile ed elegante escort, oggi diremmo, che sogna appunto una vita “alla Tiffany”, con la sua atmosfera ovattata e impreziosita dagli adorati diamanti (gli unici gioielli che in realtà Holly apprezza) e che avvolge e coccola la solitudine della protagonista al mattino, dopo le notti tirate fino all’alba con uomini che non ama, quando lo champagne può continuare ad essere la bevanda migliore anche per la “colazione”. Ma se volessimo tentare di tirare le fila del nostro discorso con una pagina esaustiva non meno che graffiante per finta erudizione mista ad ironia dovremmo ricorrere a Carlo Emilo Gadda (gran cultore fra l’altro di gastronomia) : ne L’Adalgisa. Disegni milanesi (1944) come si sa Gadda impreziosisce i racconti che compongono il libro di ricche note dal tono erudito, ironico, scherzoso che fanno da pendant storico e da indispensabile  viatico al testo narrativo vero e proprio. Insomma ci si trova di fronte a una tavolozza composita ed originale in cui il “verosimile” del racconto è sempre chiosato dallo sfondo storico, antropologico, di costume evocato dalle note. Sicché alla nota 16 del capitolo I ritagli di tempo troviamo quel che ci necessitava per il nostro discorso al suo concludersi: “ “Il dopocolazione del sabato”.

Nell’uso comune dell’Italia settentrionale (non invece della centrale, meridionale, insulare), le ordinarie assunzioni di cibo e pozione vengono oggi (1943) cosi denominate:

1) Caffelatte o caffè o latte il mattino (dalle 8 alle 11 secondo sunrise): franc. café au lait, ingl. breakfast (con bacone, aringhe, ova sode e altri filamenti e cadaveri in salagione), spagnolo almuerzo, ted. Fruhstuck: da noi più o meno adorno di marmellate e butirri, e da taluno sostituito con tè o cioccolato.

2) Colazione (Mittagsessen, déjeuner) il pasto del mezzodì, tredici, quattordici.

3) Tè o thè la tazza di liquido ingerito verso le diciassette-diciotto con eventuale rincalzo solido o semisolido: talora si specifica la qualità della bevanda (per es. cappuccino): ma si dice “all’ora del tè”; pei ragazzi e pei lavoratori dei campi, a pane e fichi, parlasi invece di merenda.

4) Pranzo è il pasto serale, delle diciannove-venti-ventuno.

Nell’Italia centrale, con dizione più propria, chiamasi pranzo la colazione suddetta, cena o desinare il pranzo, e colazione il caffelatte dell’indomani. Cena, in quel di Milano e altrove, dicesi d’un assorbimento di cibarie perpetrato a notte fatta o addirittura inoltrata, per es. dopo il teatro o nel sostare di un ballo: “cena di mezzanotte”, all’inizio dell’anno. Cena ha poi valore sacro e liturgico. “ La cena di Leonardo, al refettorio delle Grazie”. “Le cene del Veronese”. “Al caffè, all’ora del caffè”, significa nell’immediato dopo pasto, cioè dopo colazione o dopopranzo, ore 14 e ore 21, quando appunto veniva servito il caffè. Nelle vecchie “latterie” di Milano si ammanniva il caffè e latte già miscelato e talora piuttosto allungatello in una scodella rialzata senza manico (tazzina, tasìna de la balia) di varia e talora cospicua dimensione (anche mezzo litro), di fattura grossolana, emisferica e poggiante su base discoide; con cucchiaro e due o più panini; ai giovani che si recavano al lavoro e agli studenti di mineralogia del mattutino politecnico (ore 7), che Satanasso lo incachi; su tavolino di marmo carrarese, ben raramente spaccato ossia fenduto, con supporto di ghisa cioè fonte: (Guseisen, castiron). Il trasferimento del pane zuppo da scodella a cavità orale si celebrava non senza accompagnamento di scelta musica” (pp.139-140).

Straordinaria pagina che squaderna, con apparente rigore di osservazione scientifica (come per altro in tutte le note de L’Adalgisa), la scansione della giornata secondo i riti del mangiare e del bere e con predominanza della colazione, del “caffelatte”: in realtà con il suo inimitabile linguaggio Gadda rafforza il tono ora sarcastico ora ironico ora comico ( la frase finale in cui si allude alla rumorosità nell’assunzione del caffelatte come di “scelta musica”) nel disporci di fronte agli occhi piccoli tranches de vie, abitudini, differenti connotazioni sociali e consuetudini.  Vi troviamo, ad esempio, una delle prime testimonianze, nelle nostre lettere, dell’anglosassone breakfast perfettamente descritto nei suoi ingredienti, pure guardati con malcelato sospetto ( “filamenti e cadaveri in salagione” ovvero i pesci affumicati e sotto sale) dal milanese aduso al “caffelatte” con panini; e le altre inserzioni di parole straniere mentre paiono amplificare la sfera lessicale della “colazione” in realtà arricchiscono di volute ridondanze pseudoerudite il tipico pastiche linguistico gaddiano; così si allude alle povere colazioni e merende dei contadini fatte di pane e frutta, ben diverse dalle composte adunanze “all’ora del tè” nelle case borghesi secondo gli usi derivati in modo provincialotto dall’Inghilterra.

E soprattutto la nota si conclude con un ineguagliabile squarcio di vita mattutina nelle “latterie” di Milano dove giovani lavoratori e studenti ad ore antelucane sono accumunati da rumorose colazioni di lattè, caffè e panini: il Gadda studente del Politecnico trova così modo di maledire a modo suo (“Satanasso lo incachi”) quel corso di mineralogia che, svolgendosi già alle 7, costringe i frequentanti ad alzatacce mescolandoli ai lavoratori in quella sorta di scomparsi luoghi di ristoro, le latterie, dove le parole di Gadda sembrano evocarci con pittorica coloritura ( e non a caso aveva citato prima Leonardo e Veronose) fumanti scodelle (accuratamente descritte) di caffelatte su spartani tavoli in ghisa e marmo nel brusio di una colazione  all’alba indaffarata, al risveglio (così diverso da quello dei “signorini” anche per gli studenti universitari) di una grande metropoli italiana come Milano. Dalla Milano di Parini si torna alla Milano di Gadda in un percorso che ci ha parlato di mattine al caffè nell’ora dell’”inizio” del giorno per tutti, l’ora della colazione appunto.

Testi:

  • G.BOCCACCIO, Decameron, a cura di V.Branca, Torino, Einaudi, 2005;
  • T.CAPOTE, Colazione da Tiffany, Milano, Garzanti, 2007 (I° ed. americana 1958);
  • G.C.CROCE, Le astuzie di Bertoldo e le semplicità di Bertoldino, a cura di P.Camporesi, Milano, Garzanti, 2010 (I° ed. 1993);
  • G.D’ANNUNZIO, Il piacere, Milano, BUR, 2011 (I° ed. 1889);
  • E.DE AMICIS, Sull’Oceano, Milano, Oscar Mondadori, 2004;
  • C.E.GADDA, L’Adalgisa.Disegni milanesi, Torino, Einaudi, 1978 (I°ed.1944);
  • T.GARZONI, La piazza universale di tutte le professioni del mondo, a cura di P.Cherchi e B.Collina, Torino, Einaudi, 1996;
  • L.F.MARSILI, Bevanda asiatica (trattatello sul caffè), a cura di C.Mazzotta, Roma, Salerno Editrice, 1998 (I° ed. con anche ripr. anastatica, Bologna, Gamma, 1986);
  • G.PARINI, Il Giorno, ediz. critica a cura di  D.Isella, 2 voll., Parma, Guanda, 1996;
  • E.SCALFARI,  Per l’alto mare aperto, Torino, Einaudi, 2010;
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Bibliografia:

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  • P.CAMPORESI, Il brodo indiano. Edonismo e esotismo nel Settecento, Milano, Garzanti, 1998;
  • P.CAMPORESI, Le vie del latte, Milano, Garzanti, 1993;
  • P.CAMPORESI, Il paese della fame, Milano, Garzanti, 2000;
  • B.CRAVERI, La civiltà della conversazione, Milano, Adelphi, 2008;
  • M.MAZZETTI DI PIETRALATA (a cura di), Prima colazione: come e perché, Roma, Agraeditrice, 2007;
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  • P.ROSENBERG ( a cura di), Chardin. Il pittore del silenzio, Ferrara, Ferrara Arte, 2010.