Il MemoryLab è articolato in cinque cluster tematici:
Responsabile: Prof.ssa Antonella Salomoni
La linea d'indagine riguarda il tema dei meccanismi o delle strategie di adattamento attraverso le quali società e individui affrontano le conseguenze delle esperienze traumatiche.
Dai pionieristici studi sulla "psicosi di guerra" o sulla “sindrome del sopravvissuto" si è giunti oggi ad una ricerca ad ampio raggio sugli effetti della mancata inclusione o cancellazione dei luoghi in rovina nella ricostruzione materiale dopo i conflitti. Nel dare forma a un ambiente che non comprende più "spazi contaminati" si sono così adottate procedure oggettive di disqualificazione e riqualificazione del territorio, che non solo hanno reso difficile la messa a punto di una mappa comprensiva, potenzialmente, di tutti i “punti” di massacro, ma hanno anche disorientato i sentimenti di appartenenza di reduci / sopravvissuti all’ambiente e alla sua storia.
"Trauma e memoria" è tradizionalmente indicato come un paradigma recente nel campo dei memory studies, emerso soprattutto verso la fine del XX secolo. La proposta è d'indagarlo in una dimensione diacronica di più lungo periodo in relazione agli studi novecenteschi sulla "testimonianza" traumatica in ambito psicologico, giuridico, letterario.
La riflessione sulle eredità del trauma e sulle forme di “memoria non ereditaria” di una collettività (dimensione dinamica e non statica, modalità di espansione nel tempo e nello spazio, pratiche di trasmissione generazionale) ha mostrato da tempo che percezione e conoscenza di eventi traumatici o catastrofici avvengono il più sovente non per esperienza diretta, ma attraverso immagini, oggetti, storie, comportamenti e affetti mediati. Una linea d’indagine specifica s'interrogherà sulla memoria performativa per valutarne l'impatto nella pratiche di ricostruzione o riconciliazione.
Responsabile: Prof.ssa Tiziana Lazzari
Gli archivi costituiscono depositi di memorie istituzionali, individuali e collettive che non si configurano mai in modo neutro e che comportano sempre la necessità di ragionare sui modelli e sulle modalità di trasmissione delle fonti scritte. Il loro stesso ordinamento riflette una stratificazione diacronica dei diversi concetti di memoria e degli interessi concreti legati alla conservazione documentaria. Riflettono anche memorie negate o pericolose, rese inaccessibili da divieti formali e segretazioni. Convenzioni, non solo con archivi di stato, ma anche con enti, associazioni, aziende e collaborazioni con significative esperienze internazionali consentiranno di elaborare forme e metodi innovativi per ordinare, conservare e valorizzare in maniera scientificamente corretta i patrimoni archivistici.
Negli ultimi decenni, un’attenzione sempre maggiore si è concentrata non solo sui contenuti ma sulla materialità stessa delle fonti scritte, un campo di indagine innovativo, necessariamente interdisciplinare, che necessita attenzione critica e specifica e rinnovata formazione. Indagini recenti hanno consentito infatti di attribuire significato specifico ai diversi supporti scrittori e alla loro disponibilità, alle forme differenti di impaginazione dei contenuti, alle scritture sui margini e ai segni di uso, con ricadute significative sulla stessa interpretazione delle testimonianze e sulle memorie costruite che su di esse si erano costruite. A ciò si associano le nuove tecnologie che consentono il pieno recupero di testi perduti, di memorie cioè consapevolmente scartate, come nel caso dei palinsesti.
La trasformazione digitale ha già comportato cambiamenti significativi nell’accesso alla documentazione scritta. Archivi, biblioteche e musei rendono sempre più disponibili parti del loro patrimonio in rete in formato digitale. Ciò comporta da un lato un problema informativo, che impone di riflettere sullo sviluppo di sistemi integrati per la loro fruizione. Dall’altro, occorre considerare criticamente l’impatto e le ricadute che tale accesso alla documentazione scritta comporta sul lavoro di ricerca, perché la digitalizzazione impone inevitabilmente una selezione delle fonti che rischia di creare nuove gerarchie informative e quindi una selezione più o meno inconsapevole della memoria.
Responsabile: Prof. Davide Domenici
Il museo è stato ed è uno dei principali spazi della memoria della modernità occidentale. Raccogliere, collezionare, conservare, ordinare ed esibire oggetti e manufatti ha significato costruire memorie e narrazioni identitarie, spesso fondate su una relazione squilibrata e non di rado oppositiva tra chi raccoglie e chi è raccolto, tra chi narra e chi è narrato. L’analisi critica delle collezioni museali, delle loro complesse biografie, così come delle tassonomie che le hanno sottese, è un passo necessario per immaginare politiche museali capaci di produrre memorie dialogiche, eque e inclusive.
Gli ambienti in cui ci muoviamo sono costellati di emergenze materiali che costituiscono dei veri e propri palinsesti mnemonici. Abitare quegli spazi implica quindi interagire, più o meno attivamente, con una pluralità e una stratificazione di forme di memorializzazione, non di rado percepite come dissonanti rispetto ai valori contemporanei. L’analisi delle pratiche e delle politiche di memorializzazione – dal restauro e valorizzazione di monumenti sino al loro abbattimento – permette di esplorare la complessità del rapporto tra l’abitare e il far memoria.
L’impiego sempre più diffuso della cultura materiale come fonte per l’analisi storica è uno dei riflessi di quel material turn che in anni recenti ha investito il più vasto ambito delle discipline umanistiche. Lo statuto della cultura materiale come fonte, così come una seria considerazione della materialità delle fonti scritte o visuali, impone una profonda e rinnovata riflessione teorica così come l’elaborazione di strumenti e metodi che superino i tradizionali confini disciplinari.
Responsabile: Prof. Paolo Capuzzo
Nei momenti di transizione, dalla guerra alla pace, dai regimi autoritari alle democrazie, dagli imperi all’indipendenza nazionale, il passato è oggetto di un confronto critico finalizzato alla ricostruzione di un consorzio civile fondato sulla ricerca della verità storica. La memoria è fonte di legittimazione di un ordine e al contempo terreno di conflitto e vaglio critico.
I processi di costruzione nazionale mobilitano delle narrazioni storiche volte a dare fondamento identitario a supposte comunità di discendenza. Le politiche della memoria assumono perciò un cruciale ruolo politico introducendo dispositivi di inclusione ed esclusione che mirano a tracciare i confini delle appartenenze etniche.
Il linguaggio politico si è spesso costruito sulla base di dicotomie che hanno assunto significati mutevoli nelle varie epoche storiche (civiltà e barbarie, occidente e oriente, compatrioti e stranieri, civilizzati e selvaggi …). La definizione di queste alterità si è servita di repertori linguistici filtrati e ricombinati da un esercizio della memoria istituzionale che ha radicato nel profondo alcune strutture della rappresentazione fino a naturalizzarle.
Nella sua accezione moderna, il concetto di rivoluzione sembra implicare un risoluto allontanamento dal passato e una energica proiezione sul futuro. Eppure, le culture politiche rivoluzionarie annodano dei fili di memoria con il passato: sia rievocando gli avvenimenti che non hanno potuto inverare le loro istanze di trasformazione o emancipazione, sia rileggendo le rivoluzioni del passato in funzione delle anticipazioni del futuro producendo esiti spesso inattesi.
Responsabile: Prof. Claudio Minca
Questo filone di ricerca si concentrerà sui molteplici modi in cui gli studi critici sulla memoria problematizzano la costruzione, la negoziazione, la gestione e la resistenza alle memorie "autorizzate" in luoghi specifici. Osservando la "dissonanza" intrinseca nei discorsi e nella letteratura mainstream sulla memoria, questo filone di ricerca riconosce la polivalenza della memoria e dei processi di ricordo, e mette in evidenza le pratiche spaziali legate alle memorie dal basso, ai processi di resistenza e, più in generale, alla natura conflittuale della memoria e dei memory studies. Questo filone di ricerca attirerà studiosi e studiose a) focalizzati/e sul turismo e sulle geografie critiche del patrimonio; b) interessati/e alle molteplici interpretazioni degli spazi della memoria costruite da gruppi e comunità situati su scale diverse; e c) che lavorano sulle politiche e sulle storie dei gruppi vulnerabili.
Questo filone di ricerca si concentrerà sui processi di creazione della memoria in relazione alle migrazioni, al diritto alla mobilità e ai movimenti sociali. Al centro degli studi di questo filone vi saranno progetti orientati a comprendere come sia i movimenti migratori sia i movimenti sociali e le pratiche di lotta collettiva destabilizzino la nazione nella sua dimensione di "comunità immaginata" e in che misura questi facciano emergere nuovi spazi e soggetti politici. Il filone di ricerca attirerà ricercatori e ricercatrici a) che indagano su come i movimenti dei e delle migranti producano memorie collettive "dal basso", che mettono in crisi il "nazionalismo metodologico" e b) che lavorano sulle storie spaziali dei movimenti sociali. In particolare, questo ci si focalizzerà sul ruolo dei luoghi e degli spazi nei processi di produzione di memorie dal basso.