Questo ciclo di incontri si concentra su libri, o su progetti che abbiano qualche analogia con la forma-libro, magari per dilatarla, sovvertirla o potenziarla, realizzati da artiste contemporanee. L’ipotesi di fondo è che ci sia un rapporto privilegiato tra le donne e la fotografia, per certi versi analogo a quello postulato da Virginia Woolf tra le donne e la scrittura.
In Una stanza tutta per sé Virginia Woolf ha sostenuto che, se nella storia c’erano state tante più scrittrici che pittrici o scultrici, ciò avveniva perché un quaderno, una risma di carta e una penna, nonché la scrittura stessa, erano media leggeri, flessibili, portatili, capaci di mimetizzarsi o di mescolarsi con le attività quotidiane, economici, in qualche modo “poveri”, o comunque più poveri di uno studio, di una scatola di colori, di una serie di pennelli, di una tela o di una lastra di marmo. Non si potrebbe sostenere qualcosa del genere per la macchina fotografica tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, soprattutto dopo la cosiddetta “rivoluzione Kodak”, che ha reso l’apparato tecnologico meno ingombrante, più maneggevole, più accessibile (e altrettanto si dovrebbe dire di un’altra rivoluzione, l’avvento della fotografia digitale)?
Le donne hanno scritto, sia nelle forme più marginali o private (il diario, la lettera) che in quelle ufficiali e pubbliche, sia nella stampa periodica, più effimera, commerciale, considerata priva di credenziali culturali, che nei supporti più nobili e tradizionali come il libro, spesso muovendosi sul confine tra pratiche amatoriali e pratiche professionali, esplorando gli spazi interstiziali che le separano (basta pensare ai juvenilia di Jane Austen, scritti per il circolo familiare). E le donne hanno fotografato, o manipolato le immagini fotografiche, in diversi contesti, dentro e fuori quelli che sono stati di volta in volta i perimetri istituzionali della fotografia, anche se solo in tempi relativamente recenti la loro presenza è stata riconosciuta e legittimata.
Cosa succede, allora, quando le donne intrecciano la scrittura, i suoi supporti e l’immagine fotografica?
L’intento è quello di rispondere a questa domanda incrociando diversi ambiti di riflessione: i rapporti tra fotografia e scrittura, ma anche la loro compresenza dentro uno stesso spazio materiale, il libro e le sue molteplici incarnazioni, e in un medesimo gesto espressivo; i rapporti tra gender e pratiche artistiche; il fototesto come forma che, nella produzione delle donne, entra in relazione con un’attività tipicamente femminile, quella dell’album di famiglia, luogo di costruzione memoriale e identitaria, genere domestico – ma anche sociale e socializzato – intermediale, in cui le donne componevano ed editavano creativamente la fotografia insieme alla scrittura e talvolta al disegno; il passaggio da una dimensione privata, informale, vernacolare, a una dimensione pubblica e ad altri domini culturali; il fototesto, ancora, nel più vasto ambito delle tecniche del collage, ben oltre la storia dell’arte
Il ciclo avrà un carattere misto. Ci saranno artiste invitate ad esporre e a discutere il loro lavoro in prima persona, così come ci saranno studiose e studiosi che assumeranno il compito di presentare e dunque di farsi mediatrici/mediatori del lavoro di artiste non presenti fisicamente di fronte al pubblico, una soluzione che permette anche di esplorare le convergenze o le tensioni tra metadiscorso critico e pensiero in azione, quello prodotto appunto dalle practitioners. Le artiste che abbiamo scelto o che abbiamo interpellato sono molto diverse tra loro ma hanno un tratto in comune: non sono ancora state pienamente canonizzate, per i motivi più disparati, che vanno dalla diseguale circolazione in diverse aree linguistico-geografiche, e dunque dalle politiche di traduzione ed esportazione, alla posizione eccentrica che può renderne difficile la classificazione e quindi l’assimilazione, fino alla scelta di una postura volutamente appartata. C’è quindi, in questi incontri, anche la volontà di uscire dai tracciati già battuti per ricostruire un panorama (un corpus) più eclettico e sfaccettato, tale da interrogare le nostre categorie interpretative.
Gli incontri si svolgeranno a partire da novembre 2025 con frequenza mensile presso il Dipartimento di Filologia classica e Italianistica, via Zamboni 32.